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Maryam Al Khawaja: «Torno in Bahrain per salvare mio padre»

Maryam Al Khawaja: «Torno in Bahrain per salvare mio padre»Maryam Al Khawaja

Bahrain La giovane attivista rischia l'arresto ma il suo rientro in patria riporta l'attenzione sulla situazione del padre Abdulhadi al-Khawaja ammalato che fa lo sciopero della fame in carcere con altri 800 prigionieri politici.

Pubblicato circa un anno faEdizione del 12 settembre 2023

Maryam al Khawaja non nasconde i suoi timori, li spiega bene in un video che ha postato in rete. Sa che tornando in Bahrain rischia l’arresto e di essere sbattuta e dimenticata in una cella come suo padre Abdelhadi Al Khawaja, attivista dei diritti umani in carcere dal 2011, il più noto dei detenuti politici del minuscolo arcipelago del Golfo dove regna da sovrano assoluto Hamad bin Isa Al Khalifa. Anche lei è sulla lista nera, per le sue attività a difesa dei diritti umani. Per questo da anni vive in Danimarca, il paese di sua madre. «Conosco i rischi ai quali vado incontro, ma non rinuncio». Maryam, 33 anni, si è convinta che solo concentrando l’attenzione sui motivi del viaggio potrà salvare il padre, condannato nel 2011 all’ergastolo per «terrorismo» – aveva attaccato verbalmente e in internet la monarchia – e che, sebbene sia ammalato, da oltre un mese fa lo sciopero della fame assieme ad altri 800 prigionieri bahrainiti contro la «morte lenta» che affrontano coloro che finiscono nelle carceri di massima sicurezza. Le Nazioni unite definiscono «arbitraria» la detenzione di Abdulhadi Al Khawaja. «Non ho altre opzioni – insiste Maryam – mio padre è malato di cuore e non intendo restare ad aspettare la telefonata che mi dirà che è morto per un infarto». Inoltre, aggiunge l’attivista, «se il mio viaggio si rivelasse utile a tutti i prigionieri politici in Bahrain, attirando l’attenzione sulla loro situazione, allora sono disposta a correre ogni rischio».

   Il video-appello di Maryam al Khawaja 

È difficile immaginare che la monarchia bahrainita scelga di liberare Abdelhadi Al Khjawaja, un simbolo della lotta per la democrazia, il rispetto dei diritti umani e la piena parità tra la maggioranza sciita, alla quale appartiene, esclusa dal potere, e la minoranza sunnita che controlla l’arcipelago. Le protezioni occidentali – di Usa e Gb in particolare – di cui gode la monarchia, che ospita la V Flotta americana e una base britannica, e l’aiuto economico costante della vicina Arabia saudita, permettono a re Hamad di dormire tranquillamente. Facendo leva sui sentimenti anti-iraniani in Occidente, il sovrano descrive le proteste contro il suo regime come un «complotto di Teheran». E ha guadagnato altro favore in Usa ed Europa normalizzando le relazioni con Israele. «Non saremmo dove siamo se il governo non ricevesse il tipo di sostegno che ha dall’Occidente», afferma Maryam. Quando la giovane andrà in Bahrain non è stato annunciato, si parla però di questa settimana. Forse già oggi.

Lo sciopero della fame è iniziato il 7 agosto al centro Jau che ospita molti dissidenti e oppositori. Quindi si è trasformato in una protesta anche nelle strade. Le richieste dei prigionieri includono il diritto al culto, la fine del lockdown quotidiano di 23 ore, l’isolamento arbitrario da parte delle guardie, la garanzia delle visite dei familiari e un’adeguata assistenza sanitaria. Il regime sostiene che solo pochi detenuti stanno digiunando e minimizza la denuncia di «morte lenta» nelle sue prigioni.

 

 

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