Aver inserito la riforma dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) in un emendamento a una legge che parla di tutt’altro – dalle missioni Nato alla sanità calabrese – dimostra la volontà del governo di azzerare il dibattito su un provvedimento delicato. È critico anche Nello Martini, fondatore dell’Agenzia e oggi direttore della Fondazione Ricerca e Salute. Nel 2003 fu lui a ritenere che per controllare efficacia, sicurezza e sostenibilità dei farmaci non bastasse un ufficio ministeriale ma servisse un’authority indipendente. L’idea non piaceva alla destra e all’industria farmaceutica: nel 2008, sotto il governo Berlusconi, l’allora dg Martini fu licenziato dal ministro della salute Sacconi – sposato con la direttrice generale di Farmindustria Enrica Giorgetti – con il pretesto di un’accusa giudiziaria senza fondamento. La vicenda è raccontata dallo stesso Martini in un libro intitolato Farmaci tra regole e cultura. Dalla nascita dell’Aifa alle nuove sfide della governance farmaceutica in libreria da pochi giorni per le edizioni «Il pensiero scientifico».

La riforma che si discute in questi giorni rappresenta un indebolimento dell’organo di controllo, secondo Martini. «La legge che 18 anni fa ha istituito l’Aifa – spiega al manifesto – si basava su due funzioni fondamentali su cui doveva reggersi l’agenzia: l’autonomia tecnico-scientifica assicurata dal direttore generale, nominato dal ministro della Salute. E l’unitarietà del sistema e il raccordo con le Regioni garantiti dal presidente, indicato della Conferenza Stato-Regioni. L’integrazione tra ministero e Regioni era anche nella composizione e nelle modalità di nomina dei componenti del Cda e anche delle due Commissioni consultive. La abolizione della direzione generale indebolisce di fatto il carattere di autonomia tecnico-scientifica dell’Aifa perché affida al potere monocratico del presidente le due funzioni che prima erano separate ancorché integrate fra di loro. Creando uno sbilanciamento tra funzione tecnica e funzione politica».

Si può fare una riforma con un emendamento, senza un vero dibattito?

La riforma dell’Aifa è un atto rilevante e merita un dibattito adeguato rispetto alla complessità della materia. Va tuttavia ricordato che l’abrogazione della direzione generale di Aifa arriva dopo tre anni di rinvio della riforma e di diverse proroghe delle due Commissioni, scadute nel Settembre del 2020. Alla lunga fase dei rinvii si è aggiunto negli ultimi due anni uno scontro tra il direttore generale (il farmacologo Nicola Magrini, ndr) e la presidenza (il virologo Giorgio Palù, ndr) che ha portato ad uno stallo sostanziale, in assenza di un intervento pubblico, decisivo e atteso, da parte del ministro della Salute. Ciò ha creato un effetto negativo sull’intera struttura, con demotivazione e mancanza di riferimenti da parte dei dirigenti, delle aree, degli uffici e del personale in generale.

Il ministro Schillaci ha motivato la riforma con la necessità di sveltire la valutazione dei farmaci. È un problema reale?

La narrazione di politici e esperti sulla lunghezza delle procedure da parte dell’Aifa rispetto agli altri Paesi europei non è documentata dai dati. Per rendersene conto, bastano le analisi effettuate dalla Federazione europea delle industrie e delle associazioni farmaceutiche nel rapporto Patients W.A.I.T. Indicator 2021 Survey, in cui sono state confrontate le tempistiche registrative dei farmaci nei principali Stati. Da questi dati, di fonte industriale, emerge che l’Italia ha tempi inferiori alla Francia e alla Spagna. In Germania, il paese più efficiente, i farmaci sono commercializzati subito dopo la autorizzazione europea. Ma lì i prezzi sono stabiliti dalle aziende e i cittadini devono ricorrere alle casse mutue per l’accesso e la rimborsabilità. Ciò non significa che l’efficienza registrativa dell’Aifa non possa esser ulteriormente migliorata, ma l’attuale situazione non può essere adottata come causa giustificativa di una riforma dell’intero sistema. Va piuttosto ricordato che i tempi e le procedure dell’Ema risultano oggi molto meno efficienti rispetto agli Stati Uniti e ai paesi emergenti, creando in prospettiva rilevanti problemi di competitività della intera Europa a livello internazionale.

Che l’Agenzia andasse riformata è parere comune.

La riforma rimane necessaria e anche a portata di mano. Si poteva fare attribuendo la rappresentanza legale alla presidenza, rimodulando le competenze dei due organi consultivi dell’Aifa e nominando il direttore scientifico e il direttore amministrativo.

Ci sono analogie tra la vicenda attuale e quella che la riguardò in prima persona nel 2008?

Si tratta di due vicende non paragonabili e che sottendono implicazioni differenti. L’abrogazione del direttore generale avviene dopo due anni di scontro tra la direzione e la presidenza dell’Aifa che ha portato a uno stallo dell’intera struttura dell’Agenzia. Il mio allontanamento derivò da un atto unilaterale dell’allora ministro della Salute in esplicito conflitto di interessi e da un procedimento giudiziario terminato dopo 7 anni perché «il fatto non sussiste», con richiesta di piena assoluzione da parte del pm. Il problema era sorto da una indagine della Procura di Torino più attenta all’eco mediatica che al merito delle indagini e che aveva considerato addirittura “disastro colposo” un ritardo nell’aggiornamento di 20 “bugiardini” di farmaci da banco. Ma l’intervento della Procura era necessario per realizzare l’intervento della politica per depotenziare l’autonomia tecnico-scientifica e consentire una scelta più contigua con la politica stessa.