Martin Schulz logorato dal potere a metà
Spd La manifesta subalternità della socialdemocrazia alla Cdu/Csu, l’adesione piena alle regole della competitività liberista, la revisione «austera» del Welfare tedesco non si possono cancellare con la bacchetta magica di una timida fraseologia di sinistra
Spd La manifesta subalternità della socialdemocrazia alla Cdu/Csu, l’adesione piena alle regole della competitività liberista, la revisione «austera» del Welfare tedesco non si possono cancellare con la bacchetta magica di una timida fraseologia di sinistra
«Non sono un mago», confessa candidamente Martin Schulz allargando le braccia dopo la rovinosa frana della Spd, il suo partito, nella storica roccaforte socialdemocratica del Nordrhein-Westfalen, il più popoloso Land della Germania. Eppure, al momento della sua candidatura alla Cancelleria, media e sondaggi gli avevano attribuito la capacità magica di compiere un vero e proprio miracolo: rovesciare l’affannosa lotta della Spd, la storica socialdemocrazia tedesca, per la propria sopravvivenza dopo una inarrestabile serie di rovesci in una offensiva vincente.
Era sembrata una sfida ardua ma possibile. Tre elezioni regionali perdute in rapida sequenza hanno interrotto i sogni di rivincita della socialdemocrazia. Né era possibile nascondersi dietro gli errori o gli insuccessi, che pur vi sono stati, della coalizione rosso-verde che ha governato il Nordreno-Westfalia. Oppure dietro l’insicurezza suscitata dall’inspiegato carnevale delle violenze e delle molestie sessuali a Colonia.
La tendenza generale è ormai chiara e conduce diretta alle elezioni politiche di autunno. Schulz promette di affrontarle con un piglio combattivo che finora non si è visto. Al massimo qualche richiamo alla centralità della «giustizia sociale», ma nulla in grado di conferire alla Spd una caratterizzazione forte.
Questo basso profilo che avrebbe dovuto trattenere il voto dei moderati nelle elezioni regionali si è rovesciato in un completo disastro.
Non è bastato insomma sostituire l’uomo al vertice, il pallido e moderatissimo Sigmar Gabriel, con il sanguigno Schulz la cui lunga permanenza nelle istituzioni europee assolveva da ogni responsabilità diretta nelle politiche impopolari condotte dalla Spd in Germania.
La manifesta subalternità della socialdemocrazia alla Cdu/Csu, l’adesione piena alle regole della competitività liberista, la revisione «austera» del Welfare tedesco non si possono cancellare con la bacchetta magica di una timida fraseologia di sinistra.
Per richiamarsi a una celebre boutade andreottiana, il caso tedesco ci dimostra senza possibilità di equivoci come «il potere logora chi ce l’ha a metà», la metà debole, beninteso, reticente, ricattata più dalle proprie paure che dall’altrui prepotenza, insomma la Spd ingabbiata nella Grosse Koalition, e privata da decenni di un discorso «proprio».
Angela Merkel non sembra, al momento, dover temere nessun avversario davvero consistente.
L’armistizio, precario quanto si vuole, sul terreno minato delle politiche migratorie le ha comunque consentito di evitare un forte spostamento a destra dell’asse politico democristiano che avrebbe potuto lasciare spazio ai socialdemocratici.
Alternative fuer Deutschland, il nuovo partito nazionalista e xenofobo, ha certamente ottenuto una buona affermazione, senza tuttavia sfondare: per l’estrema destra tedesca quel «soffitto di vetro» che in Francia impedisce al Front National di raggiungere la maggioranza è molto più basso e decisamente più solido.
La battuta d’arresto subìta da Marine Le Pen alle presidenziali francesi, ha poi rinviato ad un futuro incerto la minaccia di un dilagante nazionalismo antieuropeo.
Macron – ieri subito in visita a Berlino – si presenta come un partner affidabile e privilegiato al suo primo incontro politico internazionale. Con la Cancelliera, appunto, a ribadire il marchio franco-tedesco impresso sul motore politico d’Europa.
Angela Merkel può dunque rivendicare la tenuta della sua politica e la stabilità che ne consegue, in un clima che sembra aver superato tutte le emergenze. Ancora una volta, come nella precedente campagna elettorale, il suo appello agli elettori può ridursi alla semplice affermazione: «Voi mi conoscete!». In un paese che non ama gli azzardi e meno che meno le avventure il già noto possiede un enorme potere di convinzione.
Certo, non tutti apprezzano lo stato di cose esistente. Lo dimostra la crescita, solo per pochi voti insufficiente a entrare nel Parlamento di Duesseldorf, della Linke, il partito della sinistra che quasi raddoppia i suoi consensi. Ma, nel suo insieme, la possibilità di un governo a sinistra che mandi la Cdu/ Csu all’opposizione si fa sempre più evanescente.
La stabilità tedesca continua a chiamarsi Angela Merkel. Gli equilibri europei stabili lo sono assai meno (a sud, a est), ma l’autunno non è poi così lontano.
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