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Marisa Rodano, memoria di una che c’era

Marisa Rodano, memoria di una che c’eraMarisaa Rodano in una foto giovanile – LaPresse

L'addio Siamo ad un passaggio d’epoca, quando se ne va una persona così importante per noi donne comuniste, così lucida e partecipe, per un secolo intero, della contemporaneità

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 3 dicembre 2023

Quando una persona, in particolare quando questa persona ha avuto un ruolo così rilevante come ha avuto su noi donne comuniste e non solo; quando è riuscita anche a vivere questo lungo tempo restando viva a tutti gli effetti, e cioè lucida e partecipe della contemporaneità come è stato per Marisa Rodano, la sua scomparsa acquista un valore particolare: ci fa prendere improvvisamente atto che una fase della storia, a cominciare da quella di ognuno di noi, è terminata, che siamo arrivate/i ad un passaggio d’epoca . Per me poi, che di anni ne ho quasi quanti lei, e che con lei ho a lungo lavorato a stretto contatto di gomito (prima perché ero nella sezione femminile al tempo diretta da Nilde Iotti, poi perché nella presidenza dell’Udi), confesso che è come se morissi anche io.

Perché ti torna alla mente tutta in una volta la storia della tua stessa vita. Fra l’altro Marisa per me in particolare è anche il ricordo di una grande esperienza degli anni ’50, quella compiuta in relazione a due riviste molto particolari degli ultimi anni ’50,

“La rivista trimestrale” e il “Dibattito Politico”, fondate e dirette da suo marito Franco Rodano, un importantissimo, assai appartato, protagonista della storia del Pci, proveniente, come la sessa Marisa, dal Movimento dei cattolici comunisti, già attivo durante la Resistenza e poi già dal ’46, confluito nel Pci. Stesso percorso di Marisa che peraltro fu anche arrestata per la sua militanza partigiana in quella formazione.

NON SCRIVERÒ DI TUTTE le cose che ha fatto Marisa, a partire dalla più nota – essere stata la prima donna vicepresidente della Camera dei Deputati. E però anche per un decennio consigliere comunale, poi provinciale di Roma, deputata dal ‘48 all’’89, gli ultimi dieci anni a Bruxelles, e tante altre cose. Vi parlerò dell’Udi (Unione donne italiane), di cui fu a lungo presidente, una grande storia di cui persino quelle/i che oramai hanno più di 50 anni sanno quasi niente. E in particolare del difficile incontro nei primi anni ’70 con il movimento femminista appena nato in Italia.

Perché è in quella sfida che Marisa ha mostrato più che in ogni altra pur rilevante occasione, la sua intelligenza e capacità politica, l’importanza per una dirigente di essere stata una straordinaria militante del Pci che non ha mai perso il contatto con la vita quotidiana dei suoi iscritti, senza però farsi irrigidire nella propria cultura di provenienza ma sapendo cogliere quanto arrivava di nuovo e per questo gestendo con grande saggezza la transizione, all’inizio anche molto conflittuale, fra il vecchio e il nuovo dell’Udi stessa.

VOGLIO RIPRENDERE quanto già allora ne dissi in un momento particolare della storia dell’Udi, il primo incontro con il movimento del ’68, quando in occasione del nostro VIII Congresso cominciammo a scoprire che c’era qualcosa che ci accumunava, Non una cultura ancora, ma il fatto di essere l’espressione di un reale movimento autonomo e nuovo alle prese con il rapporto con un grande partito come il Pci. È un fatto che parecchi sessantottini erano venuti ad ascoltare incuriositi. Lo sottolineo nella relazione che io tenni in quell’occasione dedicata alle «indicazioni di lavoro emerse dal congresso». Nella quale dico che «è interessante notare come la interpretazione della condizione femminile, quella che del problema era contenuta nella relazione di Marisa Rodano, abbia colpito gli osservatori esterni. I commenti della stampa ne sono la testimonianza. E non sottovaluterei il fatto che la nostra problematica sia stata compresa dallo stesso schieramento di sinistra perché non sempre – lo sappiamo – questo è accaduto in passato».

In ballo, sopratutto, c’è un giudizio di cui l’Udi, con difficoltà, ma con l’importante sollecitazione di una presidente così autorevole come Marisa, che legittima l’idea allora niente affatto affermata, che non sono le donne che devono adeguarsi alla società, ma è la società che deve adeguarsi alle donne e dunque cambiare profondamente.

Questa posizione, badate, è importante perché corrisponde al momento in cui le donne – e qui sta l’incontro, certo inizialmente scabroso, con le femministe – devono innanzitutto acquisire soggettività, non continuare a sentirsi «un po’ meno degli uomini», «un po’ vergognose» perché ancora non sono capaci di essere come i maschi.

HO USATO LA PAROLA scabroso per indicare la difficoltà di un momento particolare, quando alla fine anni ’70 arriva in parlamento la questione del divorzio e poi dell’aborto, che produce una vera divisione fra l’Udi e la battaglia in atto per ottenere quelle due leggi , e quindi lo scontro con l’area laicista della sinistra.

Uno scontro che ancora mi fa litigare con i radicali che la capeggiavano. Noi volevamo invece che prima di tutto si approvasse una seria riforma del Codice di famiglia per ottenere che le donne conquistassero prima tutti quei diritti che non avevano e che le avrebbe lasciate senza niente, nemmeno il letto per dormire ove fossero state divorziate, perché erano allora totalmente prive di diritti propri.

NEI PRIMI ANNI del dibattito parlamentare su questi temi, quando l’UdiI, ma io credo giustamente, si intestò a combattere queste riforme, fu perché ogni volta erano i maschi che discettavano, proponevano, decidevano su questioni che riguardavano le donne e che implicavano persino questioni relative persino alla loro sessualità. Ed è singolare che proprio su questo punto – il diritto delle donne di parlar con la propria voce e non lasciare che decidessero i maschi (che è poi il problema della conquista della propria soggettività) che alla fine si realizzò l’incontro.

Fino a ritrovarsi nelle immense manifestazioni femminili di quegli anni assieme, e poi anche a capirsi. Vi consiglio davvero di leggere, maschi compresi, due libri che possono farvi capire meglio qualcosa che la storia ufficiale di quegli anni ha completamente oscurato. Credo che sarebbe il modo migliore di ricordare Marisa Rodano: “Memoria di una che c’era. Una storia dell’Udi”, scritto da lei nel 2010; e la corposa raccolta ragionata che fa conoscere tutti i documenti,”L’Udi, Laboratorio di politica delle donne”, scritto nel 2010 da Maria Michetti, Luciana Viviani, Margherita Repetto.

IO COMUNQUE dell’Udi ho grande nostalgia. non è stata neppure solo alla fine – quando negli anni’80 si è mischiata col femminismo ed è nato un nuovo movimento – una storia «vecchia», ma la storia di grandi utilissime battaglie che hanno «fertilizzato» il terreno indispensabile all’esplosione della odierna rivoluzione femminile.

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