Mario Giro: «Andiamo in Niger per evitare un’altra Libia»
L'Italia in Africa, oggi il via libera alle missioni «E’ interesse nostro aiutare i Paesi del Sahel a non cedere all’instabilità»
L'Italia in Africa, oggi il via libera alle missioni «E’ interesse nostro aiutare i Paesi del Sahel a non cedere all’instabilità»
Oggi pomeriggio la Camera voterà il rinnovo delle missioni italiane all’estero tra le quali anche il nuovo impegno in Niger. Dopo il via libera arrivato lunedì dalle commissioni Esteri e Difesa del Senato, non sono previste sorprese a Montecitorio dove a favore del nuovo intervento si sono già detti Pd, Ap, Forza Italia. Un sì dovrebbe arrivare anche dalla Lega, mentre contrari restano Leu e 5Stelle. Dopo la Libia, l’Italia sposta quindi le frontiere europee sempre più a sud in Africa con il nuovo intervento in Niger. «I confini tra Europa e Africa si sono già avvicinati molto, il Mediterraneo si è ristretto», spiega il viceministro degli Esteri Mario Giro. «E’ nostro interesse nazionale essere presenti in quelle aree e aiutare gli Stati del Sahel a non soccombere ai fattori di instabilità. Non vogliamo una seconda Libia».
Uno dei motivi principali della missione sarà quello di arginare i flussi di migranti diretti in Italia. Intervenendo al parlamento il ministro Alfano ha detto che i risultati già si vedono.
Non è il compito specifico della missione. La riduzione dei flussi dimostra che l’azione civile che abbiamo messo in atto che l’Unhcr, l’Oim e gli aiuti forniti con i soldi del Fondo La Valletta e con quelli del Fondo Africa italiano già hanno fornito una risposta al fenomeno. La parte militare della presenza italiana è volta in particolare al rafforzamento delle capacità di controllo del territorio e di contrasto al terrorismo dei Paesi del G5 Sahel, a cominciare dal Niger.
Però c’è chi sostiene che andiamo in Niger a difendere gli interessi francesi e agli ordini del presidente Macron.
Queste semplificazioni lasciano il tempo che trovano. Noi non andiamo lì né a correre dietro ai migranti né a correre dietro ai legionari francesi. Agiamo nel quadro di un nostro accordo di partenariato, anche di difesa, con il Niger per rafforzare le capacità di questo Stato e della sua porzione della forza G5 Sahel.
L’Africa rappresenta anche un importante investimento per le aziende italiane.
Certo, la dimostrazione è che nel 2016 eravamo terzi nella quota di investimenti privati in Africa dopo Cina e Emirati. L’Africa è la nostra profondità strategica, e quindi anche il nostro mercato.
La ministra Pinotti ha detto che non sarà una missione combat ma stiamo andando in un’area ad alto rischio, come dimostrano gli attacchi alle truppe statunitensi e francesi. C’è la possibilità che i nostri soldati vengano coinvolti in azioni di guerra?
Il rischio c’è sempre ma sono soldati che stanno in Iraq dove questa possibilità è maggiore, eppure sono anche lì in funzione di protezione e non di combattimento. Non è questa la funzione dei nostri soldati che vanno in Niger con compiti soprattutto di training. Certo, bisogna essere prudenti.
Nel frattempo la situazione in Libia degenera sempre più, come dimostrano gli scontri di lunedì all’aeroporto di Tripoli. Come se non bastasse il generale Haftar si è detto pronto a prendere il controllo del Paese.
Le dichiarazioni di chiunque di prendersi il controllo della Libia sono vane e vacue perché nessuno ha il controllo del Paese. Se ci fosse non saremmo a questo punto. Quello che è successo all’aeroporto di Tripoli è tipico della situazione attuale, è una lite tra due milizie una delle quali voleva liberare due suoi ufficiali che erano stati arrestati e adesso è stata sciolta. Anzi, malgrado il fatto che ci siano stati tanti, troppi morti, va nel senso del rafforzamento del potere del governo centrale.
Ma Serraj è ancora un alleato affidabile?
E’ l’unico primo ministro riconosciuto dalla comunità internazionale. La cosa importante è che si ricominci il negoziato di Skhirat perché anche chi l’aveva firmato e non l’ha ottemperato possa finalmente arrendersi all’idea che la Libia non può continuare divisa in questa maniera ma bisogna mettersi d’accordo tra milizie. Proprio perché nessuno, né Serraj, né Haftar né nessun altro ha la forza di unificarla da solo.
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