Mare e piscina, lo studio spagnolo apre spiragli per i bagni d’estate
Covid-19 Il rapporto commissionato dalla segreteria di stato del turismo a un gruppo di sei ricercatrici e ricercatori del Csic, l’equivalente del Cnr, in vista della nuova stagione
Covid-19 Il rapporto commissionato dalla segreteria di stato del turismo a un gruppo di sei ricercatrici e ricercatori del Csic, l’equivalente del Cnr, in vista della nuova stagione
I destini economici di buona parte delle comunità autonome spagnole sono appesi a un filo. Segnatamente, al filo del turismo, un’attività che nel 2018 (ultimi dati disponibili) contribuiva al 12,3% del Pil di tutto il paese (e che dava lavoro a 2,6 milioni di persone), ma che in alcune comunità come le Baleari sfiora il 45%. E non solo: l’estate è alle porte e l’accessibilità a spiagge e piscine è una preoccupazione per molti.
La Segreteria di stato del turismo ha chiesto quindi a un gruppo di sei ricercatrici e ricercatori del Csic, l’equivalente del Cnr, di redigere un rapporto sulla questione. I sei si sono dedicati a raccogliere le evidenze scientifiche disponibili e hanno concluso, in sostanza, che è assai poco probabile che il virus possa essere contagiabile attraverso acque di mare o piscina e che la principale via di trasmissione resta «attraverso secrezioni respiratorie che si generano con la tosse e gli starnuti, e il contatto da persona a persona, per cui debbono mantenersi le raccomandazioni generali relative a qualsiasi altro luogo»: cioè, mantenere le distanze. Il problema di spiagge e piscine è che fomentano il mancato rispetto di queste misure. Nelle piscine o spa, il disinfettante che viene già dissolto nell’acqua è sufficiente a disattivare il virus, mentre nelle saune, l’elevata temperatura dovrebbe essere sufficiente a ridurre la vita del virus. Quanto all’acqua di mare, sebbene non esistano studi specifici, secondo gli scienziati la presenza del sale e l’effetto diluizione «sono fattori che probabilmente contribuiscono a una diminuzione della carica virale e alla sua inattivazione per analogia a quanto accade con virus simili» anche se, senza uno studio specifico, non è chiaro in quanto tempo. Le acque di fiumi e laghi potrebbero essere più problematiche: la diluizione è inferiore e sono acque non trattate, per cui, dice il rapporto, è «sconsigliabile» rispetto ad altre alternative. Le acque residuali potrebbero essere un problema perché il virus è presente in feci e orina. Ma i normali trattamenti di depurazione dovrebbero essere sufficienti per inattivarlo.
Infine la questione sabbia: come qualsiasi altra superficie, in linea di massima il virus potrebbe depositarvisi, ma, pur in assenza anche qui di studi specifici, la combinazione di sale, radiazione ultravioletta solare e temperatura elevata «sono favorevoli all’inattivazione dell’agente patogeno». E comunque, specificano, «non è raccomandabile la disinfezione con i procedimenti abituali per gli spazi pubblici urbani», e cioè candeggina o disinfettanti. «Qualsiasi forma di disinfezione della sabbia della spiaggia deve essere rispettosa dell’ambiente», sottolineano.
Insomma, dicono i ricercatori, in generale non dovrebbero essere né l’acqua, né la spiaggia la principale preoccupazione della nostra prima estate pandemica. Bensì le agglomerazioni di persone su spiagge e piscine, così come il contatto con oggetti contaminati (sdraio, pedalò e quant’altro): sotto forma di aerosol il virus è molto resistente (più di tre ore), per cui è facilmente trasportabile da persona a persona per vicinanza fisica, o si deposita facilmente sugli oggetti venuti in contatto con le nostre goccioline di saliva infette. E a seconda degli oggetti sappiamo che il virus può rimanere attivo su alcune superfici anche per giorni interi.
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