Venerdì scorso, dopo la manifestazione contro i cambiamenti climatici a Torino, Marco Grimaldi, consigliere regionale in Piemonte di Liberi Uguali e Verdi (Luv), si è diretto a Bologna per partecipare a un confronto per la regolamentazione del lavoro nelle piattaforme digitali, promosso dall’ateneo locale, con giuslavoristi, sindacati e con la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo. Da tempo, Grimaldi si occupa delle condizioni dei ciclofattorini, i cosiddetti rider. Ha promosso una norma regionale per vietare il cottimo nei servizi di consegna a domicilio, approvata nel novembre 2018, ed è il primo firmatario di una proposta di legge al Parlamento per normare la gig economy.

Il decreto «salva imprese», ultimo atto gialloverde di Di Maio, si è dimostrato pilatesco sulla questione cottimo e subordinazione. Dopo aver incontrato la ministra Catalfo, che ha sostituto il leader M5s, pensa che la rotta possa essere corretta?
Quello, anche rispetto al decreto dignità, è un passo indietro. Ed è stato riconosciuto indirettamente pure dalla ministra che pubblicamente, venerdì a Bologna, l’ha definito «figlio di un’altra stagione politica». Penso che sia venuto il momento di passi più avanzati. Ora, che il Parlamento discute della conversione del decreto in legge, la ministra Catalfo ha detto che chiederà ai presidenti di Commissione di ascoltarci sul nostro testo.

Qual è la gravita della situazione in questa deregulation?
Le aziende hanno continuato a rifiutare sia il riconoscimento delle tutele tipiche del rapporto di lavoro subordinato sia l’abolizione dei sistemi di monitoraggio e classificazione delle prestazioni. Ogni mattina un fattorino si sveglia e sa che dovrà correre più veloce che mai, o la sua paga sarà da fame. Il rischio è quotidiano.

Quali sono i punti inderogabili in una futura legge?
La nostra proposta, a cui ne sono seguite analoghe dai consigli regionali dell’Emilia-Romagna e dell’Umbria, precisa che, oltre alle estensioni in termini di sicurezza e di tutele in caso di malattia, si debba applicare il concetto di subordinazione alle nuove forme di lavoro digitale tramite piattaforme, sotto forma di eterorganizzazione. La libertà di non presentarsi al lavoro non costituisce motivo di autonomia, anche i braccianti, a inizio Novecento, potevano non presentarsi davanti ai loro caporali; i giuslavoristi di tutto mondo hanno riconosciuto, invece, che in questa intermittenza esiste subordinazione.

II Tribunale di Torino, nell’aprile del 2018, respinse il ricorso di sei fattorini «sloggati» dalla piattaforma non ritenendo subordinata la natura del loro lavoro. Il processo in appello, lo scorso gennaio, ha, però, riconosciuto il risarcimento dei pagamenti e dei contributi previdenziali non goduti. È stata una presa di coscienza?
La Corte ha riconosciuto agli appellanti tale diritto facendo esplicito riferimento al quinto livello del contratto collettivo logistica-trasporto. E, solo poche settimane fa, in California il governatore Gavin Newsom ha approvato un disegno di legge che impone alle aziende che consegnano a domicilio e che operano mediante piattaforme digitale e etero-dirigono la forza lavoro con l’algoritmo di trattare i lavoratori a contratto come subordinati dal prossimo primo gennaio. È tempo anche in Italia di tutele e diritti finalmente condivisi.

E come mai, proprio in questa fase, spuntano rider che difendono il cottimo?
Le narrazioni imposte dalle aziende sono incantatrici, quando incominciammo a occuparci del tema, il food delivery veniva incensato e rappresentato come bello e nuovo. La verità è, però, venuta fuori. E ha svelato un sistema di sfruttamento.