Manovra senza soldi: si punta sulle privatizzazioni
«Tutte le risorse disponibili devono continuare a essere concentrate nel sostegno alle imprese che assumono e che creano posti di lavoro e per rafforzare il potere di acquisto delle famiglie e dei lavoratori», promette Giorgia Meloni. Ma mentre Giorgetti continua a stare zitto, le dichiarazioni del sottosegretario leghista Federico Freni confermano la pochezza dello spazio di manovra: «L’impatto della manovra sarà di 25 miliardi come quella di un anno fa, prima della manovra però, sarà licenziato il piano strutturale di bilancio (che deve essere presentato alla Commissione europea entro il 20 settembre, ndr) che deve passare dall’approvazione del Consiglio dei ministri e soprattutto dall’approvazione del Parlamento con un procedimento simile a quello della Nadef e del Def, sarà esaminato e con il sistema delle mozioni, auspicabilmente, sarà approvato», conclude Freni.
Se l’iter – la via crucis della nuova austerità – è confermato, il merito delle misure è già in gran parte deciso ma la maggioranza continua a tirare per la giacca Giorgetti. Lo spazio per «l’alleggerimento delle tasse» e le «misure a sostegno di chi assume e crea lavoro» è quasi a zeo. Già sarà difficile confermare la maxi-deduzione per le imprese che assumono, in scadenza a fine anno. Mentre si starebbe lavorando a rimodulare i fringe benefit, con l’ipotesi di un tetto unico per tutti a 1.500-2mila euro.
Per definire quello che entrerà davvero nella legge di bilancio per il 2025, si attende però di avere un quadro più certo sulle risorse a disposizione. Che al momento appaiono risicate, rispetto all’obiettivo finale.
Per aumentarle l’unica strada è aumentare le privatizzazioni: la svendita dei gioielli pubblici, mentre perfino la Gran Bretagna va in direzione totalmente opposta, ri-nazionalizzando ad esempio le ferrovie.
In questa nuova cornice potrebbe subire qualche ritocco il piano già previsto da Giorgetti che prometteva 20 miliardi di nuove entrate nel triennio.
Già in primavera però il Def aveva ridimensionato l’obiettivo iniziale di arrivare all’1% del Pil, portando il target complessivo del triennio 2024-26 allo 0,7% (circa 14 miliardi). E prima delle elezioni Europee il governo aveva bloccato la vendita di una quota di Poste Italiane, fortemente criticato da tutti i sindacati, compresa la – di solito amica – Cisl, storicamente primo sindacato nel gruppo.
Al momento il bottino di Giorgetti è a quota 3 miliardi figlio della vendita di gran parte della quota di Montepaschi e di una piccola quota di Eni. Ma non si escludono nuove mosse. Nel mirino ci sono Mps, Fs, Enav, Eni, ma anche una liberalizzazione dei porti, articolo molto appettito dall’invisa Cina.
La partita di Poste è la più intricata. L’iter avviato a gennaio prevedeva che lo stato non sarebbe sceso sotto il 35%; a fine maggio il cambio di rotta, mai sotto 51%, con l’effetto di ridurre il potenziale incasso a circa 2 miliardi. Il Dpcm però non è ancora stato modificato e un soluzione non sembrerebbe all’orizzonte.
La decisione sarà di Giorgetti e Meloni: rischiare di inimicarsi persino la Cisl scendendo sotto il 50 per cento di controllo per avere un po’ di soldi o rinunciare a qualche mancia – e tagliare di più sanità e pensioni – mantenendo la maggioranza della storica controllata, trasformata in banca da decenni?
Il lavoro dei tecnici intanto prosegue senza sosta sulle simulazioni che serviranno al Mef per mettere nero su bianco le misure della prossima manovra. Proroga annuale del taglio del cuneo fiscale fino a 35 mila euro l’anno di reddito – per oltre 10 miliardi di spesa – e Irpef a tre aliquote – per circa un milardo – sono già garantite. Se si riusciranno a tagliare le aliquote anche al ceto medio – fino a 50 mila euro l’anno – dipende da come andrà il concordato preventivo biennale. Sembra sicura l’estensione alle autonome dello sgravio per le lavoratrici madri. Si punta poi a confermare i fringe benefit, che oggi hanno due diverse soglie di esenzione, (mille euro per tutti e 2mila per i lavoratori con figli): l’ipotesi è uniformarle. Difficile poi che non venga prorogata la maxi-deduzione al 120% (maggiorata al 130% per giovani, donne, e beneficiari del Reddito) per le aziende che assumono a tempo indeterminato. Appare invece in salita il dossier pensioni, con la Lega spinge per Quota 41, su cui frena però Fi che insiste per alzare le minime.
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