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Manovra, il «dialogo» si avvita

Manovra, il «dialogo» si avvita

Legge di bilancio Tria dice tutto e il contrario di tutto e lascia la palla al parlamento. La Ue: deficit al 2%. Conte rinvia all’incontro con Juncker al G20

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 29 novembre 2018

Lo scontro tra Italia e commissione europea sulla legge di bilancio ha certamente un aspetto drammatico, ma quello che emerge per ora è piuttosto il suo versante surreale.

La realtà è che nessuno ha idea di dove possa andare a parare il «dialogo» avviato con la cena di Bruxelles. Qualunque dubbio in proposito è stato spazzato via dalle comunicazioni del ministro Tria nell’aula del Senato ieri mattina, e la confusione ha trovato un perfetto emblema nel voto a favore della risoluzione di maggioranza del senatore a vita Mario Monti, il padre della riforma Fornero, il premier del rigore imposto dalla Ue.

MONTI E BAGNAI, il presidente leghista della commissione Finanze del Senato non sospetto di simpatie per i diktat europei, hanno potuto votare fianco a fianco a sostegno proprio perché Tria era riuscito a dire tutto e il contrario di tutto, lasciando di fatto al Parlamento una sorta di decisione finale non solo sui contenuti della manovra ma anche sul punto focale dello scontro: i saldi.

Il ministro ha esordito spiegando che gli impegni di aggiustamento strutturale assunti dal governo Gentiloni, il cui mancato rispetto è all’origine del contenzioso con Bruxelles, erano «privi di realismo», tanto più alla luce del peggioramento del quadro economico complessivo europeo. Dunque bisogna raggiungere «una soluzione ottimale ma senza rinunciare alle nostre priorità». Prioritario è però anche l’obbligo di «non divergere dalle regole europee». Sul come quadrare il cerchio, il ministro dell’Economia non si pronuncia, però ricorda che «il Parlamento rimane il luogo istituzionale dove i miglioramenti alla proposta del governo possono essere realizzati». Inutile insomma chiedere al governo parole chiare. Tanto il «numerino« vero arriverà tardi, quando la legge, che da oggi verrà esaminata a oltranza dalle commissioni di Montecitorio, verrà licenziata dalle camere. Forse addirittura tra Natale e capodanno.

L’ASPETTO SURREALE è che alla velocità di crociera del governo italiano fanno da contraltare i tempi brucianti di Bruxelles. Oggi gli sherpa dei ministeri Ecofin appoggeranno, dopo una riunione in videoconferenza, la posizione della commissione Ue. Lunedì è previsto il pronunciamento dell’Eurogruppo, dopo di che la commissione potrà mettere mano alla sua lettera piena di «raccomandazioni» al governo di Roma per correggere una manovra non ancora approvata, e il 19 dicembre la raccomandazione potrebbe partire, sempre a manovra ancora da definirsi.

LA CONFUSIONE non riguarda solo l’esito della trattativa ma anche l’oggetto della stessa. La richiesta della commissione è stata esplicita: il punto di partenza deve essere una revisione dei saldi che porti il deficit dal 2,4% al 2%. Su quella base si dovrebbe poi passare a discutere degli spostamenti di fondi a favore degli investimenti. Salvini aveva aperto uno spiraglio ma solo su una revisione di due decimali, sino al 2,2%. Dombrovskis, il vicepresidente grintoso della commissione, ha già detto chiaramente che non basta: «La correzione deve essere consistente perché la distanza resta molto alta». Conte, ieri, ha subito replicato che lui di questo parlerà direttamente col presidente Jean-Claude Juncker, ai margini della riunione del G20 di Buenos Aires, stavolta in un vero e proprio incontro, e confida «di avere margini rispetto ai saldi finali». Solo che non è chiaro se quei margini li abbia almeno in casa. Il Movimento 5 Stelle insiste sulla non modifica dei saldi e ieri anche Matteo Salvini sembrava pendere da quel lato, sia pure a mezza bocca: «Mai parlato di ritocco del deficit, solo di spostamento di risorse».

IN QUESTO CAOS ormai totale l’unico ad avere ancora in mano qualcosa che somigli al bandolo della matassa è il capo dello Stato. Ieri è tornato sul tema: «E’ evidente che senza finanze pubbliche solide e stabili non risulta possibile tutelare i diritti sociali». Poi Mattarella, per l’ennesima volta, ha sottolineato che il pareggio del bilancio, che è «un bene pubblico», è a tutti gli effetti parte integrante della Costituzione.

Sin qui, muovendosi con pazienza massima, qualcosa il Colle è riuscito a spostare. Se ce la farà a uscire dalla confusione in cui sta precipitando la situazione prima che sia tardi è ancora da vedersi.

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