«Il testo del decreto legge continuerà il suo percorso democratico», ha dichiarato Emmanuel Macron in un discorso a reti unificate in cui difende la contestata riforma delle pensioni che arretra di due anni l’età pensionabile. Ma il presidente francese sembra sempre più solo e alienato dal paese reale. Il percorso del decreto è tutt’altro che democratico visto che utilizza l’articolo 49.3 della Costituzione che impone un testo senza votazione in Parlamento. Ne abbiamo parlato con Manon Aubry, attivista politica ed europarlamentare di France Insoumise.

La crisi è più aperta che mai e la mobilitazione di movimenti e sindacati continua senza sosta.
Il voto di lunedì sera nell’Assemblée Nationale ha respinto per pochi voti la sfiducia al governo che è riuscito ad ottenere qualche ora o qualche giorno di tregua per nove voti. Tuttavia, in un certo senso, Macron ha già perso. L’opinione pubblica e i sindacati sono contro di lui, cresce l’opposizione alla sua riforma e più ampiamente al suo governo. La crisi sociale in cui ci troviamo si è trasformata in una crisi democratica. L’ Assemblée Nationale dovrebbe rappresentare il popolo. Come è possibile che una legge che toglie due anni di pensione venga adottata senza che l’Assemblea abbia potuto votarla? È il regime della Quinta Repubblica che si sta sgretolando e ci ricorda che è tempo di rivedere la Costituzione e di passare a una Sesta Repubblica. Il governo non ha la maggioranza e non vedo cosa possa accadere nei prossimi quattro anni se non avviene uno scioglimento delle camere. Alla fine, le persone dovrebbero partecipare alle decisioni che le riguardano. E invece il governo sta agendo in forma del tutto antidemocratica,

Tutto è iniziato con la riforma delle pensioni, ma la protesta sembra dilagare: non è solo rabbia, ma organizzazione e strategia politica.
Il presidente Macron ha deciso di imporre ai francesi una riforma delle pensioni ingiusta e che è stata respinta dalla maggioranza della popolazione. Il 70% dei francesi e il 90% della popolazione attiva sono contrari alla riforma. Anche i sindacati sono uniti nel rifiuto di questa riforma ingiusta, brutale e ovviamente illegittima. Il governo ha utilizzato tutti gli strumenti legislativi più arbitrari per limitare i tempi e gli spazi del dibattito parlamentare ed impedire di fatto alle opposizioni di esprimersi. Dopo dieci giorni di massicce mobilitazioni, che hanno riunito fino a 3,5 milioni di persone, il governo fa orecchie da mercante. Le modalità di azione dei manifestanti sono diverse: petizioni, manifestazioni, scioperi, blocchi, ma il governo rimane murato in una forma di disprezzo estremamente pericolosa per la democrazia. Tuttavia, l’opposizione non ha ancora detto l’ultima parola. Le mobilitazioni non si fermano e verranno utilizzati tutti gli strumenti legislativi a nostra disposizione, come rinvio al consiglio costituzionale e referendum di iniziativa condivisa.

Si tratta solo di una legittima protesta sull’età pensionabile o c’è qualcosa di più? Ad esempio, si discute dei quattro giorni lavorativi, i diritti dei precari, dell’irruzione dell’algoritmo come datore di lavoro. Può essere un focolare in Europa di critica al sistema capitalista?
Per quanto la protesta si concentra proprio sulla riforma delle pensioni e sulla volontà del governo di far lavorare le persone per altri due anni, il livello di mobilitazione dimostra che la riforma delle pensioni è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Anzi, tutto questo viene dopo le restrizioni imposte durante il covid, in un periodo di inflazione che colpisce in modo massiccio la popolazione, e dopo elezioni che in effetti non hanno dato la maggioranza a Emmanuel Macron. Il popolo francese ha votato per un’Assemblea nazionale diversificata e conflittuale, che deve continuamente cercare compromessi. Prescindendo totalmente dall’opinione popolare, Emmanuel Macron dopo aver dichiarato che avrebbe cambiato metodo per creare compromessi e ascoltare, non ha ovviamente modificato nulla. Anzi, la sua disconnessione dalla realtà del popolo francese sta crescendo. Voler far lavorare i francesi per altri due anni mentre sono presi alla gola dall’inflazione, mentre i mestieri socialmente più utili sono svalutati e mal pagati, è davvero un affronto. Penso che le mobilitazioni non solo contestino una riforma, ma mettono al centro il lavoro. Abbiamo bisogno di una riflessione collettiva sul lavoro. Con il cambiamento climatico in corso e la crisi sociale che stiamo vivendo, l’aumento delle disuguaglianze a vantaggio di una minoranza che si arricchisce sempre di più, il problema non è più produrre sempre di più indipendentemente dalle condizioni di produzione, ma ragionare sull’utilità di quanto prodotto e sugli impatti ambientali. Il governo, invece, è intrappolato in una dogmatica logica neoliberista che gli impedisce di portare avanti una riflessione globale sul lavoro e proprio per questo non ascolta i lavoratori.