L’esperienza della sinistra radicale in Francia ha aperto un dialogo con i giovani delle periferie, i lavoratori, i settori popolari. Manon Aubry, europarlamentare ed esponente di primo piano di Union Populaire, mostra come un’agenda su pensioni, salario minimo ed ecologia sia stata vincente in questo senso. Un esempio da seguire, ma in Italia la situazione sembra essere più complessa.

Alle ultime elezioni legislative, Union Populaire di Jean-Luc Mélenchon con oltre il 25% di voti, ha avuto ampio consenso tra i lavoratori e i giovani delle periferie sotto i 30 anni: proprio quelle fasce sociali con cui la sinistra in Italia fa più fatica.
Molti giovani vivono le incertezze del futuro e non riescono a mantenere gli studi. Spesso per ragioni familiari sono costretti ad abbandonare scuola o università. Non è una questione individuale, va affrontata a livello sociale anche mediante borse di studio a giovani in difficoltà: questa è una nostra proposta. D’altra parte, i giovani hanno molta più sensibilità sui cambiamenti climatici, la vivibilità delle città e trovano fiducia in una forza autenticamente ecologista. Molti partiti di centrosinistra dicono di essere a favore della transizione ecologica, ma fanno gli interessi del grande capitale che sta distruggendo il pianeta. Diritto allo studio, diritto della terra e diritto al lavoro si intersecano e sono la base della nostra politica. Lottiamo anche per rivendicare il salario minimo di 1400 euro, pensioni dignitose a 60 anni e portiamo avanti un programma politico-culturale di rottura facendo assemblee con i lavoratori, nelle periferie ed è in questo processo che abbiamo trovato unità popolare.

In Italia hai recentemente partecipato a iniziative di varie forze di sinistra: dall’Unione Popolare che sostiene de Magistris alla lista comune di Sinistra italiana ed Europa Verde. Che idea ti sei fatta?
L’obiettivo è simile: unire le persone attraverso un programma contro le politiche neoliberali. Per questo obiettivo bisogna mettere insieme partiti, movimenti sociali, sindacati, associazioni civiche, i popoli del sud del mondo. Il contesto è differente. Prima delle elezioni ci dicevano «farete la fine dell’Italia, tutti divisi…». Invece con le presidenziali abbiamo fatto vincere una linea di rottura in un accordo tra La France Insoumise, i socialisti (che stavano intorno al 1,7%) e i Verdi (sotto il 5%), invertendo i rapporti di potere nella sinistra. In Italia così come da noi, c’è un «centrosinistra» che va sempre più a destra: il Partito democratico è stato protagonista di tagli alla spesa pubblica, continue privatizzazioni, attacchi ai diritti dei lavoratori, tagli alle pensioni. Quindi la sinistra deve tornare alle proprie radici, di rivendicazione dei diritti sociali: le strategie possono essere diverse, ma gli obiettivi sono gli stessi e il metodo è connettersi con le persone, con la società dal basso.

Come costruire un’agenda comune, e internazionale, delle sinistre antiliberiste?
Partendo dalle realtà locali. Invitando sindacati, movimenti sociali, associazioni civiche, intellettuali, economisti, sociologi, a discutere insieme. Nella sfera della sinistra, ma non necessariamente attivisti politici. Bisogna entrare in dialogo, trarne ispirazioni per ragionamenti politici e grandi mobilitazioni, nel rispetto delle singole autonomie. Il capitale lavora a livello globale e usa strategicamente le crisi per imporre il consenso. Dovremmo offrire delle soluzioni a livello internazionale e di cambiamento delle relazioni di potere. Bisogna lavorare insieme per avere un impatto concreto, capendo che le ingiustizie sociali e i cambiamenti climatici sono indistinguibili: se lavori sulle diseguaglianze hai un impatto sul clima, e viceversa. La sinistra del ventunesimo secolo deve essere in grado di unire, aggregare, articolare esperienze positive a livello locale e globale e non limitarsi alla teoria. Costruire progetti a lungo termine è l’unico cammino possibile, altrimenti si scatena solo il rancore. E sappiamo bene quali sono le conseguenze.