Nel bilancio degli otto mesi di questo malaugurato conflitto uno dei maggiori fallimenti è l’incapacità dell’opinione pubblica di reggerne la complessità. Propaganda, dicotomie e semplificazioni continuano a spopolare anche all’interno di Israele concedendo a Netanyahu e al suo governo di scellerati un margine di vantaggio che consente alla giostra di andare avanti contro ogni logica. La giornata di sabato ha offerto un esempio perfetto di come questo meccanismo continui a funzionare nonostante tutto.

L’ESTATE è arrivata e con lei il caldo e la voglia di mare e leggerezza. Ma il weekend in Israele era cominciato all’ombra degli incendi – che hanno colpito anche la zona di Gerusalemme e del centro sud – dei funerali degli ostaggi rinvenuti nei giorni precedenti e soprattutto sotto la minaccia di un imminente allargamento del conflitto sul fronte nord. Un confitto al quale, checché ne dicano i vertici militari, Israele non è preparata, o almeno non lo sono i suoi cittadini, letteralmente esausti dopo mesi di morte, paura e incertezza.

In una simile atmosfera la notizia del rilascio dei quattro ostaggi sabato mattina ha sortito l’effetto di rianimare un’intera popolazione dal burnout emotivo. Impossibile non commuoversi: lacrime e salti di gioia nelle spiaggia come nelle sinagoghe, nelle case e nelle strade hanno regalato agli israeliani una boccata di ossigeno e restaurato una speranza che non si percepiva dallo scorso novembre.

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Già nel pomeriggio, tuttavia, l’incantesimo si è rotto. L’esercito, che ha effettuato la missione di salvataggio, è tornato ad essere applaudito mentre Netanyahu, che dal principio ha ignorato le famiglie degli ostaggi mancando persino di porgere loro le condoglianze a tempo debito, si è prontamente materializzato all’ospedale Tel Hashomer per venire immortalato di fianco a Noa Argamani la cui immagine disperata mentre veniva portata a Gaza il 7 ottobre sulla moto dei rapitori aveva fatto il giro del mondo. In poche ore la speranza di firmare un accordo con Hamas per la restituzione degli ostaggi e il cessate il fuoco è nuovamente sfumata, e Gantz ha ritirato le dimissioni attese per la serata (poi arrivate in quella di ieri) mentre i media celebravano l’eroismo di Arnon Zamora, l’ispettore capo morto a Nuseirat, al centro di Gaza, per riportare a casa gli ostaggi. Zamora, 36 anni, dell’unità antiterrorismo Yamam, lascia moglie e due figli.

NEL FRATTEMPO alle 17.30, prima dell’inizio delle grandi proteste, nella piazza del Teatro Habima di Tel Aviv si è tenuta una manifestazione per marcare i 57 anni dell’occupazione. L’evento era blindato dalle forze dell’ordine e contenuto da transenne di cartone sulle quali erano riportati i nomi dei morti di entrambe le parti. Le poche centinaia di partecipanti tuttavia non sembravano perdersi d’animo. «È normale che siamo pochi», commenta una donna di mezza età responsabile dello stand di Lotta socialista, «siamo ancora in guerra e la gente ha paura». Accanto due giovani attivisti del gruppo Standing Together confermano: «La gente non viene perché ci sono le bandiere palestinesi. Ci vuole pazienza, vedrai che all’evento congiunto dei movimenti per la pace del 1 luglio prossimo ci sarà il pienone».

Sul palco sale Odeh Ayman, leader del partito Hadash e deputato della lista congiunta: «Complimenti per il coraggio di chi è venuto qui oggi nonostante la brutalità della polizia. Una manifestazione congiunta ebraico-palestinese viene a dire che c’è un’altra via attraverso la quale le famiglie di entrambe le parti non conosceranno altri lutti. Questa via di pace esiste, e passa attraverso il riconoscimento del semplice fatto che in questa patria ci sono due popoli e che ad entrambi spetta il diritto all’autodeterminazione. I palestinesi hanno diritto di vivere in pace e in sicurezza e ci possiamo arrivare, ma il governo sfrutta la guerra per portare avanti la riforma giudiziaria.

Ogni occupazione finisce attraverso tre fattori: la lotta del popolo occupato, l’opinione internazionale e l’opinione pubblica del paese occupante. Per farcela a noi manca l’opinione pubblica israeliana».

AYMAN HA RAGIONE, per quanto assurdo possa sembrare manifestare per la pace richiede coraggio e la protesta, che pure si era svolta in modalità assolutamente pacifica, è terminata con tre arresti e cartelli spezzati dalla polizia, anche quello con la scritta «non uccidere». Anche Yona Yahav, sindaco di Haifa, ha proibito ogni manifestazione contro la guerra e questo benché sia una città mista e uno dei migliori esempi di convivenza israelo palestinese.

Insomma sono bastate poche ore perché la dolcezza delle immagini di Noa Argamani che riabbracciava il padre si mischiasse al sapore amaro della consapevolezza che la fine dell’incubo è ancora lontana, così come lo è il giorno in cui sarà considerato legittimo gioire per il ritorno degli ostaggi e insieme esprimere il cordoglio per le morti, di entrambe le parti, che esso ha comportato. Solo una soluzione politica metterà fine alla morte affinché si possa smettere di celebrarla e considerarla indispensabile.