Il governo ha deciso di rivedere il Pnrr, i progetti dei comuni sono stati definanziati per 13,5 miliardi. La città più colpita è Napoli con un taglio di 824,8 milioni. Lunedì il ministro Fitto ha incontrato regioni e comuni.

Sindaco Gaetano Manfredi, cosa vi ha detto Fitto?
Ha garantito la copertura finanziaria di tutti gli interventi che non rientreranno nel Pnrr. Ma ha anche sottolineato che la revisione per ora è una proposta, ci sarà un’istruttoria con Bruxelles e fin quando non sarà completata questa fase tutto resta com’è. Anche perché esiste un decreto di finanziamento del Pnrr con tutte le scadenze che il piano prevede.

Il governo vuole fare una trattativa con i singoli comuni?
È stato sottolineato un dato importante: la scelta di spostare questi progetti non deriva da una mancata capacità delle amministrazioni. Oltre il 90% ha rispettato i tempi facendo le gare, in molti casi le gare sono aggiudicate, i contratti sottoscritti, i cantieri aperti o in via di apertura. La scelta è frutto di una serie di valutazioni che ha fatto il governo, ma non c’è una responsabilità dei Comuni. Del resto abbiamo rispettato tutti gli obiettivi che ci sono stati imposti in sede di assegnazione delle risorse.

È possibile spostare progetti in fase così avanzata su altri fondi europei?
Abbiamo manifestato tutte le nostre preoccupazioni, non è chiaro quali siano le nuove fonti di finanziamento. Si è parlato del Fondo complementare, del Fondo per lo sviluppo e la coesione. Ognuno di questi ha vincoli da rispettare. Quello che io e i miei colleghi abbiamo sottolineato e che non abbiamo nessuna intenzione di fermarci né di rallentare. Abbiamo anche manifestato la preoccupazione che queste risorse verranno sottratte a capitoli di spesa che erano già indirizzati al Sud e che quindi possono diventare una forma di definanziamento.

Quali sono gli interventi a rischio a Napoli?
In città abbiamo fatto un lungo percorso, anche di coprogettazione, con le comunità che saranno coinvolte sia a Scampia che a San Giovanni nella zona di Taverna del Ferro, i due interventi più grandi. Ma vale anche per l’ex Opg: qui erano risorse che facevano parte del Federalismo demaniale che sono state spostate sul Pnrr. In queste realtà abbiamo fatto un lungo lavoro di condivisione delle scelte, un segnale di crescita democratica e quindi vogliamo continuare in maniera determinata. Nell’area metropolitana ci sono, solo sui piani di recupero delle periferie, 350 milioni. Un intervento molto importante riguarda il waterfront che va da Napoli fino a Castellammare di Stabia, sono coinvolti tutti i Comuni della zona est: significa recuperare il rapporto col mare di tutta un’area costiera densamente popolata. Le gare sono state già aggiudicate.

Meloni annuncia la Zes unica per tutto il Mezzogiorno, è un’iniziativa positiva?
È già in corso la sperimentazione delle Zes fatte in maniera selettiva, su aree mirate come la zona portuale e la zona est di Napoli e sta funzionando molto bene: ci sono stati interventi significativi di semplificazione oltre che incentivi finanziari che hanno portato investimenti. C’è grande sinergia tra le amministrazioni e gli imprenditori coinvolti. Il tema è: creare un’unica Zes quali vantaggi competitivi offre? Spalmare questi requisiti su territori molto più grandi con le stesse risorse finanziarie, con i vincoli sugli aiuti di impresa (che sono la tagliola nell’applicazione degli incentivi) quale efficacia avrà? Già in passato si è provato a fare delle misure generaliste, per esempio sull’incentivo alle assunzioni, e spesso non hanno funzionato quindi non capisco perché si deve cambiare una cosa che sta funzionando.

C’è il rischio che si barattino gli investimenti al Sud con la Zes?
Sono due cose completamente diverse, la Zes comporta incentivi per le aziende e forme di semplificazione. Ma gli investimenti sulle infrastrutture sono determinanti: non possiamo parlare del Sud come grande risorsa dell’Europa, di nuovo rapporto con l’Africa, di corridoi energetici con la sponda sud del Mediterraneo senza investimenti. Sono due temi diversi che non vanno assolutamente confusi.

Il taglio del Reddito di cittadinanza penalizza Napoli.
Sono contrario a questo stop: in un momento di crisi economica, con l’inflazione che cresce e la povertà in aumento, non si può ridurre il sostegno al reddito. Indispensabile non solo al Sud: ci sono numeri importanti a Roma, a Torino, a Milano. Sono favorevole a una rivisitazione dello strumento in una forma più orientata all’inserimento al lavoro, ma occorrono reali forme sostitutive di sostegno ai più fragili e un avviamento concreto al lavoro per chi ha la possibilità di farlo e queste cose ad oggi non le vediamo. Sono preoccupato.

Senza sostegno al reddito e senza salario minimo si crea un mercato del lavoro povero, incentiva forme di grigio e nero?
Sì, corriamo il rischio che ci siano forme di sfruttamento. La Costituzione dice che il lavoro deve essere dignitoso, un salario equo in condizioni di sicurezza. Bisogna impedire che per soddisfare i bisogni primari si creino forme di sfruttamento. Non è accettabile per un tema di equità sociale e anche per una questione di crescita economica. I salari bassi sono un fattore depressivo enorme. Perciò io spero che ci sia un ripensamento con un approccio che guardi veramente ai bisogni delle persone.