Manconi (Campo progressista): «Per un centrosinistra, il rapporto con il Pd è ineludibile»
Alleanze Il senatore Pd vicino a Pisapia: Giuliano unisce, per governare non basta il 6 per cento. Art.1 sembra d’accordo. E ora nessun ricatto al governo Gentiloni
Alleanze Il senatore Pd vicino a Pisapia: Giuliano unisce, per governare non basta il 6 per cento. Art.1 sembra d’accordo. E ora nessun ricatto al governo Gentiloni
Luigi Manconi (Campo progressista, ndr) Pisapia ha davvero trovato una strada comune con Mdp?
Penso e spero di sì. Certo, non tutti i nodi sono sciolti. Sopravvivono vischiosità e quello spirito di scissione che sembra una pulsione irriducibile della cultura di sinistra. Ma stavolta possiamo farcela.
La possibilità di alleanza con il Pd è chiusa per sempre?
Non si tratta di questo. Nella riunione di martedì sono state condivise tre condizioni: quelle che definiscono l’identità di Campo progressista e che possono costituire il tessuto connettivo del rapporto con Mdp. La prima è il riconoscimento della leadership di Pisapia, basata innanzitutto sulla sua indiscutibile capacità di unire, aggregare e federare. Lo dimostra il fatto di aver guidato una grande città con la più ampia coalizione; e che la sua iniziativa non nasce da una scissione ma dal suo opposto: dalla volontà di superare la frammentazione. La seconda condizione è che si lavori tutti per il centrosinistra. Non spetta certo a noi dimettere un segretario, Renzi, eletto con una procedura democratica come le primarie e il rapporto con il Pd – pur se ora non saprei dire in quale forma – è una condizione ineludibile. Non è questione ideologica, bensì aritmetica: per chi voglia battere le destre vecchie e nuove (M5S compreso) e arrivare a governare, il Pd è un interlocutore essenziale. Si può decidere di investire tutte le energie in uno sforzo titanico per raggiungere il quorum e fare un partito del 6-7 per cento: oppure ci si può confrontare conflittualmente col Pd per condizionarne il programma. È un’alternativa secca, che non consente altre soluzioni. La terza condizione riguarda la fase: oggi è interesse di tutti, in primo luogo degli strati meno tutelati della società, arrivare a fine legislatura. Dunque col governo Gentiloni si deve discutere e anche confliggere, ma guai a esercitare forme più o meno oblique di ricatto. Questa è la sostanza della nostra proposta. Mdp sembra averla accolta. E chiunque voglia lavorare con noi può farlo: a partire da queste tre ragionevolissime condizioni.
Ma lei è del Pd. Resta nel Pd?
Fino a quando le notevoli tensioni con la linea di maggioranza non saranno più sostenibili. Ma in questi anni di legislatura sono stati sempre meno quanti mi chiedevano come mai rimanessi “ancora nel Pd”. Intanto il Pd mi ha eletto e poi non ho trovato fuori da quel partito sedi più utili al fine di attuare la mia politica. E non credo che sarebbe stato meglio rimanere fuori dal parlamento piuttosto che tentare di fare lì, in quella sede, ciò che ho provato a fare.
Dite che Pisapia è il leader del vostro movimento. Ma una leadership può derivare da un gruppo di ‘illuminati’ che conferiscono un ruolo?
Con tempi più lunghi i meccanismi di formazione della leadership sarebbero stati diversi. Ma, ripeto, il ruolo di Pisapia ha una genesi in qualche modo naturale. Tutto, in lui, rivela una rara capacità di mediare e unificare. Lo conosco da più di trent’anni e non ho mai visto uno dotato di quella capacità di stare al tavolo delle trattative, senza mai deflettere dai punti essenziali, e sfinire l’interlocutore per arrivare a persuaderlo. Una dialettica garbata e inesorabile, cortese e tenacissima, che non prevede mai l’umiliazione della controparte. Ma il suo convincimento. Questo metodo non viene capito da tanti. Ma l’idea che la leadership per dirsi tale debba essere almeno un po’ autoritaria e prepotente non è una legge della scienza politica. È solo sintomo di pessimo carattere e acidità di stomaco.
La vostra ispirazione è di sinistra o di centrosinistra?
È di centrosinistra ma, in termini statistici, è di sinistracentro. Ma anche questa rischia di ridursi a una disputa nominalistica.
Lei si occupa da sempre di temi che uniscono la sinistra (e non solo) sui grandi valori, i diritti. L’alleanza per le politiche quale perimetro politico dovrebbe avere a sinistra?
Penso che quei temi, lungi dall’unire la sinistra, possano dividerla: com’è il caso dell’immigrazione e del garantismo. Insomma, qualunque sia la formula che si potrà realizzare – alleanza, coalizione, programma comune – ciò che ci attende è comunque una vita spericolata. Io mi batto per gli obiettivi in cui credo ma non mi allontano portandomi via il pallone se vengo sconfitto. Ribadisco, tuttavia, che l’aritmetica rimane essenziale. Se voglio provare a vincere non posso disinteressarmi del Pd e della sua sorte.
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