Le autorità maliane hanno invitato ieri i media e i governi occidentali (Usa e Francia in porimis) a «fermare la campagna di disinformazione» riguardo «uccisioni sommarie nei confronti di civili» da parte dell’esercito, che hanno il preciso obiettivo di «denigrare l’operato del governo nella lotta contro l’insurrezione jihadista nel paese». L’annuncio arriva dopo che alcuni media – Radio France International (Rfi) in particolare – hanno accusato i militari delle forze armate maliane, e i mercenari russi della compagnia Wagner, dell’uccisione sommaria di almeno 10 civili in due diverse operazioni, il 26 maggio ad Adiora, nella regione di Timbuktu, e il 29 maggio a Ménaka.

Riguardo «alla violazione dei diritti umani», Washington ha imposto giovedì nuove sanzioni a due ufficiali maliani, dopo quelle della scorsa settimana contro il capo del gruppo Wagner in Mali, Ivan Maslov. Anche l’Unione europea aveva annunciato a fine febbraio una serie di sanzioni nei confronti di una decina di persone, tra cui Maslov, per le «violazioni dei diritti umani attribuite in Mali alla compagnia paramilitare».

Le accuse lanciate lo scorso aprile dall’ong Human Rights Watch (Hrw) sono state intanto confermate: l’ultimo report dell’Alto Commissario per i Diritti Umani ha indicato che «almeno 500 persone sono state uccise sommariamente tra il 27 e il 31 marzo 2022 a Moura, nel Mali centrale». Sulla vicenda si conttrappongono due versioni: «strage di massa» secondo le ong che difendono i diritti umani, «operazione anti-jihadista con 203 terroristi eliminati», secondo la giunta militare al potere.

L’indagine Minusma è durata oltre 10 mesi con l’utilizzo anche di immagini satellitari. E lo scorso febbraio Guillaume Ngefa – capo della divisione diritti umani di Minusma – è stato dichiarato «persona non gradita» e poi espulso dal paese, poco dopo un incontro all’Onu sulla situazione in Mali. Il report ha concluso che «l’operazione militare è stata condotta durante una fiera di bestiame dalle Fama (Forze armate maliane) e da personale militare straniero». Il documento non fornisce ulteriori dettagli sul «personale straniero», ma ricorda che Bamako ha sempre affermato di utilizzare «istruttori russi nella sua lotta contro i jihadisti» e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha riconosciuto la presenza in Mali della società di sicurezza Wagner.

I soldati maliani e i loro alleati quindi avrebbero prima «aperto il fuoco indiscriminatamente contro la folla» e successivamente «selezionato diverse centinaia di persone che sono state torturate e giustiziate sommariamente per almeno quattro giorni consecutivi, prima di essere seppellite in fosse comuni», con oltre 60 ragazze e donne vittime di stupro.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in un’audizione dello scorso aprile sul Mali ha invitato a rispettare gli «obblighi internazionali» durante le operazioni antiterrorismo, confermando la neutralità della Minusma nelle proprie indagini, come avvenuto per l’inchiesta contro i militari francesi di Barkhane e l’uccisione di 22 civili a Bounti nel gennaio 2021.

Il terrorismo di matrice jihadista intanto continua a flagellare il paese, visto che nell’ultimo mese lo Stato Islamico (Eigs) è all’offensiva nel nord-est del Mali e ha conquistato quasi tutta la regione di Ménaka, eccetto l’omonima città che è diventata rifugio per migliaia di profughi e sfollati. Un conflitto che vede contrapposte da una parte i miliziani dello Stato Islamico e dall’altra quelli qaedisti del Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani (Gsim), insieme ai gruppi indipendentisti Tuareg. Ma che ha messo in evidenza soprattutto la totale assenza del governo di Bamako.