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«Mai dati», l’aborto e il bluff degli obiettori

«Mai dati», l’aborto e il bluff degli obiettoriManifestazione pro-life – LaPresse

Un’indagine su 180 strutture sanitarie dimostra l’impossibilità di ottenere «open data» e trasparenza sull’applicazione della legge 194

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 18 maggio 2022

Mentre il governo spagnolo dà il primo via libera alla riforma della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza (Ivg) con la quale si aboliscono i tre giorni di riflessione fin qui obbligatori prima dell’aborto, viene meno l’obbligo del consenso genitoriale per le ragazze minorenni e si introduce il congedo retribuito per mestruazioni dolorose, in Italia è praticamente impossibile perfino accedere ai dati aggiornati, dettagliati e disaggregati sull’applicazione della legge 194/78. Lo fanno notare la docente di Storia della medicina, Chiara Lalli, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, che hanno condotto un’indagine dal titolo «Mai Dati!» su oltre 180 strutture sanitarie italiane, in occasione dei 44 anni dall’entrata in vigore della legge 194.

Ottenere risposte non è stato facile, spiegano le ricercatrici in conferenza stampa alla Camera organizzata con l’associazione Luca Coscioni. Ma alla fine il risultato più evidente e più sconcertante riferisce di «31 strutture sanitarie (24 ospedali e 7 consultori) con il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri o operatori socio-sanitari; quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%».

PER AVERE RISPOSTE, spiega Montegiove, sono state inviate centinaia di Pec ad altrettante strutture con una prassi che è a disposizione di ogni cittadino e si chiama «accesso civico generalizzato». Solo una parte di esse ha risposto subito, altre si sono aggiunte dopo aver «chiamato in causa il responsabile trasparenza e anticorruzione». Alla fine sono stati raccolti dati ufficiali dal 60% delle strutture interpellate. «Non è tantissimo – ammette la ricercatrice – ma abbiamo raggiunto l’obiettivo di dimostrare quanto sia difficile ottenere open data sull’applicazione della legge, non fosse altro che per attuare la data governance e applicare correttivi alle norme laddove si ritenessero eventualmente necessari».

Ciò che l’indagine ha evidenziato non emerge dalla Relazione ministeriale che è ferma al 2019 e ai dati preliminari del 2020, e nella quale si raccolgono dati chiusi e aggregati per Regione. Secondo quest’ultima relazione ufficiale, «nel 2019 sono state notificate 73.207 Ivg, confermando il continuo andamento in diminuzione (-4,1% rispetto al 2018) a partire dal 1983. Dal 2014 il numero di Ivg è inferiore a 100.000 casi ed è meno di un terzo dei 234.801 casi del 1983, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia».

LA RICERCA – che a giugno sarà pubblicata per la Fandango col titolo Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere – dimostra, secondo la segretaria dell’associazione Coscioni, Filomena Gallo, che «la legge 194 è ancora mal applicata o addirittura ignorata in molte aree del nostro Paese». E anche che «la valutazione del numero degli obiettori e dei non obiettori è troppo spesso molto lontana dalla realtà», come sottolineano le autrici dell’indagine. Succede infatti, spiega Chiara Lalli, che «non tutti i non obiettori eseguono poi realmente le Ivg, limitandosi in alcuni ospedali ad eseguire solo ecografie, o lavorando in altri dove gli aborti non vengono proprio eseguiti».

Per esempio, riferisce la ginecologa Anna Pompili, all’ospedale Sant’Eugenio di Roma ci sono 21 ginecologi, 10 dei quali sono non obiettori, ma solo due eseguono Ivg. «La percentuale nazionale di ginecologi non obiettori di coscienza (che secondo la Relazione è del 33%) deve, dunque – continuano le ricercatrici – essere ulteriormente ridotta perché non tutti i non obiettori eseguono Ivg. Non basta conoscere la percentuale media degli obiettori per regione per sapere se l’accesso all’Ivg è davvero garantito in una determinata struttura sanitaria. Perché ottenere un aborto è un servizio medico e non può essere una caccia al tesoro».

L’ASSOCIAZIONE Coscioni, insieme alle autrici dell’indagine e con le ginecologhe Anna Pompili e Mirella Parachini, ha scritto perciò una lettera ai ministri Speranza e Cartabia per chiedere «con urgenza che i dati sull’applicazione della legge 194 siano in formato aperto, di qualità, aggiornati e non aggregati; che si sappia quanti sono i non obiettori che eseguono le Ivg e gli operatori che le eseguono dopo il primo trimestre; che tutte le regioni offrano realmente la possibilità di eseguire le Ivg farmacologiche in regime ambulatoriale; che venga inserito nei Lea un indicatore rappresentativo della effettiva possibilità di accedere alla Ivg in ciascuna regione; e che la relazione ministeriale venga presentata ogni anno nel rispetto dell’articolo 16 della stessa 194».

D’altronde, non è un caso che, se la legge 194 è ancora inapplicata in molte regioni d’Italia, alla Camera si discute come vietare la maternità surrogata attraverso i ddl Meloni e Carfagna che vorrebbero introdurre un inapplicabile reato internazionale per le donne che anche gratuitamente e in modo solidale si offrano per questa tecnica di fecondazione medicalmente assistita. Nel centrodestra però qualche dubbio è sorto, e perciò l’analisi del testo base (e degli emendamenti abrogativi presentati dal centrosinistra) previsto ieri in commissione Giustizia è slittato ancora.

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