I bambini in carcere non devono stare. Negli scorsi anni si è provato a dare concretezza a questa affermazione con proposte di legge, come quella presentata dall’on. Siani, poi ripresentata dall’on. Serracchiani, ritirata per gli emendamenti presentati dalla maggioranza che andavano in tutt’altra direzione: togliere la potestà genitoriale alle donne condannate in via definitiva, alle “madri indegne” per il solo fatto di aver compiuto un reato. Da lì lo sdegno che spinse una coalizione di forze democratiche a reagire, dando il via alla campagna “Madri Fuori, dallo stigma e dal carcere, con i loro bambini”.

Oggi, nella rincorsa al peggior giustizialismo, il Ddl sicurezza del governo, fra le tante misure repressive, innalzamenti delle pene e introduzione di nuovi reati, prevede (art. 12) la non obbligatorietà del rinvio della pena per le donne incinta e le madri di bambini fino a tre anni.

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Il rinvio diventerebbe facoltativo, e non avverrebbe ove sussista il rischio di commissione di ulteriori reati: in tal caso, la detenuta madre rimarrebbe in prigione, in un Istituto a Custodia Attenuata (Icam).

Il differimento della pena era stato introdotto dal codice Rocco: si riesce a peggiorare pure quella norma, nonostante l’art. 31 della Costituzione affermi la tutela della maternità e dell’infanzia, favorendo gli istituti necessari allo scopo. E in spregio e disprezzo a quanto stabilito nel1989 dalla convenzione Onu sui diritti del fanciullo; e dalla Corte Costituzionale che più volte ha riconosciuto come preminente l’interesse del minore.

Sotto la strumentale bandiera della “tutela della sicurezza”, il Ddl governativo è un provvedimento di stampo classista, sessista, oltre che razzista: abbiamo già udito, purtroppo, affermazioni secondo le quali «finalmente le donne rom, abili borseggiatrici che ci impediscono di prendere tranquillamente la metro, finiranno di farsi mettere incinta solo per non andare in carcere».

Peccato che la disposizione appaia in netto contrasto anche con quanto previsto dalle regole penitenziarie europee, secondo cui le detenute devono essere autorizzate a partorire fuori dal carcere a difesa dei bambini, in quanto è impossibile prevedere quando avverrà il parto. Invece, il governo italiano vuole privare il bambino del diritto di venire alla luce fuori dalla galera, declassificandolo a concessione discrezionale.

In conclusione, si costruiscono norme solo di ampliamento del penale, che limitano o smantellano diritti, senza intervenire sui problemi veri che spesso sono alla base di certi comportamenti: fragilità, marginalità, povertà.
Le misure ipotizzate contro le donne madri non tengono conto della realtà del carcere: le prigioni non sono luoghi per i bambini, per la maternità responsabile, per un rapporto sereno fra madre e bambino. Sono luoghi dove il diritto alla salute non è pienamente esigibile, anche per la carenza di personale sanitario ed educativo (ma all’incremento e promozione di questo personale non si fa cenno).

Alle donne deve essere garantita la possibilità di essere madri nel modo migliore possibile, creando tutte le condizioni per una genitorialità serena. Ai bambini deve essere garantito il diritto ad una infanzia dignitosa, libera. Gli Icam sono una forma migliore di carcere, ma pur sempre istituzioni totali: non sono luoghi per bambini, costretti comunque a vedere il cielo attraverso le sbarre.

Rilanceremo la mobilitazione della campagna “Madri Fuori”, perché neanche un bambino veda il carcere, per il superamento degli Icam, per la realizzazione delle case famiglia, previste dal nostro ordinamento.
È indegno per una democrazia, per una società civile, vedere bambini nascere e crescere dietro le sbarre.

*(Cgil nazionale, responsabile carcere e dipendenze)