Emmanuel Macron ha annullato la visita di stato in Germania, che doveva iniziare stasera fino a martedì, la prima da anni (in un periodo di turbolenze nelle relazioni franco-tedesche). Con una telefonata al presidente tedesco, Franz-Walter Steinmeier, l’Eliseo parla di «situazione esplosiva e molto evolutiva», che richiede la presenza del presidente.

In attesa di una quinta notte di violenze, Macron «non ha tabù» sulle misure da prendere per sedare la rivolta, ma cerca di evitare lo stato d’emergenza (nel 2005 era stato deciso dopo 12 giorni di agitazione, dopo frasi incendiarie dell’allora ministro degli Interni, Nicolas Sarkozy). Le città più colpite chiedono «rinforzi di polizia»: l’appello è arrivato ieri da Grégory Doucet, sindaco Europa Ecologia di Lione, e da Benoît Payan, di Marsiglia (Ps). Doucet parla di «violenze senza precedenti» e omaggia il «sangue freddo» della polizia.

A SINISTRA, i saccheggi delle ultime serate stanno facendo cambiare ottica, dopo che già François Ruffin, della France Insoumise, ha preso le distanze dalla compiacenza con i violenti. Il leader Jean-Luc Mélenchon, accusato da governo e destra di soffiare sul fuoco, si è rivolto ai giovani in rivolta, chiedendo di risparmiare «scuole e biblioteche».

Fabien Roussel, segretario del Pcf, esprime soddisfazione sulla «svolta di Mélenchon», perché «quando si è di sinistra bisogna fare appello alla calma, nessuna violenza è giustificata». Per Olivier Faure, segretario Ps, «non bisogna dare l’impressione di sostenere le violenze». Macron, evocate la «responsabilità dei genitori» e puntato il dito contro i gestori delle reti social che fomentano l’emulazione, ha accusato le opposizioni di «strumentalizzazione inaccettabile».

Il presidente è in bilico, tra l’affermazione che «niente giustifica la morte di un giovane» e che «niente giustifica le violenze». Mélenchon ha risposto che si tratta di «elucubrazioni contro la France Insoumise che nascondono le responsabilità di chi ha creato questa situazione».

Ma è l’estrema destra che è scesa in campo: Eric Zemmour parla di «guerra razziale» in «enclaves straniere» sul territorio francese, il Rassemblement national chiede lo stato d’emergenza e evoca una «guerra di civiltà». C’è il rischio di gruppuscoli di estrema destra contro i giovani in rivolta. Il ministro degli Interni, Gérald Darmanin, è travolto dalla situazione. Ha affermato che «sarà la Repubblica a vincere, non i facinorosi».

Darmanin, che viene dall’entourage di Sarkozy ed è stato nominato agli Interni per assicurare una relazione con la polizia, sta perdendo piede. Il primo sindacato di polizia, Alliace (estrema destra), con Unsa-Police, ha pubblicato un comunicato di minaccia: «Siamo in guerra» contro le «orde selvagge» e «domani saremo in resistenza e il governo dovrà prenderne coscienza».

PER ROUSSEL è «un appello alla sedizione», la France Insoumise ha sporto denuncia. Per il governo, la strada della pacificazione, che potrebbe passare per un’abolizione della legge del 2017 (che amplifica la legittima difesa) e una riforma della polizia, sembra bloccata.

A Strasburgo i negozi sono rimasti chiusi ieri pomeriggio, a Marsiglia tutti i trasporti (anche il metro) interrotti alle 19 e manifestazioni proibite, a Lione autobus e tram fermi dalle 21, come nella regione di Parigi. Spettacoli annullati. Prime conseguenze economiche, i turisti scappano. Un terzo dei fermati ha tra i 14 e i 18 anni. Il ministro della Giustizia, Eric Dupont-Moretti, avverte i genitori di conseguenze giudiziarie.