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Macché diritti umani, «prima gli algerini». E scatta la caccia al nero

Macché diritti umani, «prima gli algerini». E scatta la caccia al neroIl primo ministro algerino Ahmed Ouyahia sotto un'immagine del presidente Bouteflika – Afp

Algeria Escalation di retate e deportazioni indiscriminate. La linea dura del governo contro i migranti subsahariani «illegali» figlia della crisi e delle misure di austerity

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 6 giugno 2018

Nell’estate del 2017, pochi giorni prima della sua nomina alla guida del governo, il premier algerino Ahmed Ouyahia lo aveva annunciato: guerra spietata all’immigrazione «illegale». Ecco le sue parole: «Questi signori sono in situazione illegale nel nostro paese. E poi, lo sappiamo, l’immigrazione porta sempre criminalità e molti altri problemi. Non dico che dobbiamo prendere questa gente e buttarla a mare o nel deserto. Ma non dobbiamo lasciare il popolo algerino esposto al caos. E se mi dicono diritti umani e roba del genere io dico, prima di tutto, che noi siamo padroni a casa nostra». Parole che conosciamo abbastanza bene da questa parte del Mediterraneo.

L’ha annunciato e ora lo sta facendo. Dall’inizio del 2018 vanno avanti delle campagne di rastrellamento ed espulsione collettiva di cittadini subsahariani, senza nessun criterio di selezione, né alcun riguardo per le fasce più vulnerabili.

La modalità è spesso la stessa: retate per le strade delle città principali del paese, una vera caccia al nero. Poi raduno in un centro di detenzione improvvisato. Per Algeri, ad esempio si usa il Parco giochi in disuso di Zeralda. In un secondo momento i migranti vengono trasportati nei campi di detenzione della città di Tamanraset, luogo diventato negli ultimi anni una vera piattaforma sia per l’arrivo che per l’espulsione. Da Tamanraset, poi, le centinaia di cittadine e cittadini, tra i quali molti minori, vengono riaccompagnati verso il Niger. Parliamo di viaggi di migliaia di chilometri. E di detenzione in condizioni e tempi non definiti da nessuna legge.

In alcuni casi i migranti sono portati in autobus fino alla città di Agadez, in Niger, ma in genere vengono semplicemente lasciati vicino al posto di frontiera con il Niger o il Mali e invitati a lasciare il territorio. Senza risorse, né mezzi di trasporto. In balia di attacchi, aggressioni e sfruttamenti di ogni genere.

Con il Niger c’è un accordo di riammissione dei suoi cittadini. Un’intesa denunciata da molte organizzazioni per i diritti umani per la sua opacità. Ma la sostanza del documento sta nel fatto che le deportazioni in Niger riguardano cittadini di varie nazioni subsahariane, raccolti a caso. Quindi l’Algeria aspira a finanziamenti o appoggio militare e politico per fare ciò che l’Europa pretende dalle nazioni nordafricane: il cane da guardia delle frontiere.

 Proteste e condanne arrivano da più parti. A marzo la Federazione internazionale per i diritti dell’uomo (Fidh) ha emesso un comunicato per richiamare l’Algeria al rispetto dei diritti umani e delle convenzioni sul diritto di asilo. Il 22 maggio è la porta voce dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Diritti umani, Ravina Shamdasani, a rendere pubblica una nota in cui esorta l’Algeria a mettere fine alle detenzioni e alle deportazioni indiscriminate.

Infine, negli ultimi giorni, è la società civile algerina che tenta di organizzarsi. A partire da una lettera in cui si chiede al governo di fermare la caccia al nero, gli arresti e le deportazioni indiscriminate, introducendo piuttosto una legge sull’immigrazione e sul diritto di asilo.

L’appello firmato da decine di organizzazioni e associazioni nazionali e anche molti intellettuali, artisti e attivisti, pubblicato su Avaaz, sta faticando a raccogliere firme popolari. Un po’ per la poca dimestichezza del pubblico algerino con le firme online. Un po’ perché molta gente fa fatica a considerare il problema degli immigrati un problema di tutti.

Nel frattempo proseguono le operazioni di deportazione. L’ultima, portata a termine ad Algeri nella notte tra il 3 e il 4 giugno, ha fatto  aumentare ancora il numero dei migranti detenuti al centro di detenzione di Zeralda, già al collasso.

Sembra che con l’aggravarsi della crisi e il varo di politiche di tagli al bilancio e di austerity, anche in Algeria il discorso demagogico del «tutta colpa degli stranieri» riesca ad intercettare molti consensi.

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