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L’uranio serbo-sardo

L’uranio serbo-sardoSerbia 2001, rilevamento di uranio impoverito – Livio Senigalliesi

Belgrado La Corte suprema di Belgrado processa la Nato per le bombe «umanitarie» del 1999. Ma i militari atlantici si proclamano «immuni». Le indagini coinvolgono anche Quirra e Teulada

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 5 giugno 2022

Allied Force, l’operazione Nato contro ciò che restava della Jugoslavia, ebbe inizio il 24 maggio 1999. Per due mesi e mezzo in Bosnia, Serbia e Kossovo massicci bombardamenti a tappeto colpirono non solo obiettivi militari, ma anche case, fabbriche e infrastrutture.

A PANCEVO, a quindici chilometri da Belgrado, una raffineria e un impianto per produrre un fertilizzante chimico furono bombardati (quarantuno bombe e sette attacchi missilistici), causando un disastro ecologico con gli effetti del quale tuttora si devono fare i conti (oggi la Serbia è al primo posto in Europa per malattie oncologiche). Furono impiegate bombe a grappolo vietate dalla convenzione di Ginevra e scaricate tonnellate di proiettili all’uranio impoverito, materiale ricavato dagli scarti delle centrali nucleari e pericoloso, come ormai la ricerca medica ha largamente dimostrato, per l’alto tasso di radioattività che sprigiona quando gli ordigni per rivestire i quali viene utilizzato esplodono.

DOPO VENTIDUE ANNI, nel marzo dello scorso anno, un ex militare dell’esercito jugoslavo ha presentato alla Corte Suprema di Belgrado una denuncia contro la Nato, chiamata in causa come responsabile delle patologie tumorali molto gravi che hanno colpito l’ex soldato serbo e che sono state causate, secondo l’esposto presentato dall’avvocato Srdjan Aleksic, dall’utilizzo di proiettili e di bombe all’uranio impoverito. Alla prima denuncia se ne sono aggiunte altre, di militari e di civili colpiti non solo nei loro beni materiali (abitazioni, attività economiche) ma anche nella salute. È cominciato così il primo processo in cui la Nato è chiamata in causa come imputato. L’Alleanza però, che di andare alla sbarra non ci pensa nemmeno, pochi giorni fa ha fatto pervenire ai magistrati serbi una nota a verbale in cui si autoproclama improcessabile. La notizia è stata data ieri dal quotidiano L’Unione sarda in un articolo firmato da Mauro Pili. La testata cagliaritana pubblica integralmente un documento spedito al tribunale di Belgrado titolare del procedimento giudiziario in cui la Nato dichiara di essere «immune dalla giurisdizione nazionale serba» in virtù sia di non meglio precisati «accordi di cooperazione» stipulati con il governo di Belgrado sia della «presenza in Serbia di un alto ufficiale di collegamento Nato». «La comunicazione – scrive L’Unione sarda – è del 21 marzo scorso, ma è emersa solo pochi giorni durante l’acquisizione degli atti processuali a Belgrado. Una mossa da ultima spiaggia che sa di confessione: l’immunità giurisdizionale altro non è che l’estremo tentativo di sottrarsi al processo».

AD AFFIANCARE IL POOL dei legali serbi che tutelano soldati e civili contro la Nato c’è l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, che in Italia da anni difende militari ammalatisi di tumore nelle missioni nei Balcani, in Iraq e nelle esercitazioni militari nei poligoni sardi di Quirra e di Teulada e che ha già vinto quasi duecento cause contro il ministero della Difesa, riuscendo a dimostrare il legame causale tra le malattie – in molti casi le morti – e le condizioni ambientali in cui i militari da lui rappresentati hanno dovuto svolgere i loro compiti, compresa, tra quelle condizioni, l’esposizione all’uranio impoverito. Il legale italiano e i suoi colleghi serbi, scrive sempre L’Unione sarda, «per contrastare la pretesa di immunità della Nato hanno elaborato una strategia articolata in due punti». «In primo luogo – spiega Fiore Tartaglia – l’accordo cui fa riferimento la nota della Nato è stato stipulato dopo i fatti in contestazione. In pratica saremmo di fronte a un’immunità siglata nel 2005, che non può essere retroattiva per il periodo 1995-2000. In secondo luogo, la presenza di un ufficiale Nato di collegamento insediatosi a Belgrado dopo i fatti oggetto del processo non ha efficacia sanante nei confronti di una condotta pregressa che è una violazione del diritto internazionale molto grave». La partita è dunque aperta. E non è detto che si concluda a Belgrado. Gli avvocati che rappresentano militari e civili davanti ai magistrati serbi, infatti, non escludono un esposto alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per crimini di guerra.

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