Luoghi non più comuni: «contratto sociale»
Dizionario di fine anno La società liberale non è libera dalla paura. Diamo per scontato il nostro debito di obbedienza all’autorità politica, ma ci sono enormi discrepanze nella protezione che lo stato offre ai propri soggetti. Ci viene richiesto di fare i medesimi sacrifici, ma lo stato non si assume le stesse responsabilità nei confronti di tutti
Dizionario di fine anno La società liberale non è libera dalla paura. Diamo per scontato il nostro debito di obbedienza all’autorità politica, ma ci sono enormi discrepanze nella protezione che lo stato offre ai propri soggetti. Ci viene richiesto di fare i medesimi sacrifici, ma lo stato non si assume le stesse responsabilità nei confronti di tutti
Le persone sono nate libere, ma ovunque sono in catene. Suona come la descrizione del mondo ai tempi del Covid-19. Ma in un’epoca di emergenza permanente l’incipit del Contratto sociale (1762) di Jean-Jacques Rousseau ci ricorda il fragile equilibrio che esiste fra democrazia, protezione e obbedienza allo stato.
Se lo stato è emerso dalla pandemia come una forza più prominente nella nostra vita pubblica, l’idea di sovranità popolare che serve a legittimarlo – la nozione che siamo autori alla pari delle leggi alle quali dobbiamo obbedire – non è mai stata più debole. L’idea del contratto sociale sostiene il concetto moderno di sovranità. Spiega perché gli individui, che nello stato di natura nascono liberi e uguali, sacrificano la loro libertà naturale a quella civile goduta in associazione con altri e governata da leggi. Il contratto sociale spiega inoltre perché, in situazioni di emergenza, lo stato ha l’autorità per restringere o sospendere libertà fondamentali, come quelle di movimento, associazione e partecipazione elettorale.
LA MAGGIOR PARTE di queste libertà sono garantite dai documenti fondativi e dalle costituzioni delle democrazie liberali. La maggioranza, se non tutte, sono state sospese o limitate nell’ambito della risposta emergenziale alla pandemia. Questo è stato giustificato dall’invocazione di una minaccia di ordine superiore alla nostra vita comune, dall’appello al contratto sociale che, in quanto cittadini, lega i nostri destini e ci rende responsabili l’uno per l’altra.
Siamo in guerra con un nemico invisibile, è stato detto, e dobbiamo accettare di sacrificare la nostra libertà individuale alla protezione della vita di tutti. Lo facciamo perché è lo stato a chiedercelo; nessuna altra persona o istituzione esercita su di noi gli stessi diritti.
Siamo stati testimoni di un ritorno alla sovranità nella pratica, e di un’affermazione della sua importanza in teoria. Ma l’idea per la quale condividiamo gli stessi rischi che ci rendono parte di un contratto sociale ora pare illusoria. Al contrario, la pandemia ha messo in evidenza la realtà per la quale la libertà di alcune persone ha più valore; che alcune vite sono considerate più meritevoli di essere vissute.
Mentre milioni di americani perdevano il lavoro, la ricchezza dei miliardari statunitensi è cresciuta di più del 10%. Nel Regno unito, per le persone nere la probabilità di morire di Covid-19 era quattro volte superiore a quella dei bianchi. Le necessità dettate dalla cura dei figli o degli anziani significa che tornare a lavoro sarà più difficile per le donne che per gli uomini. Durante il lockdown, il gap nei risultati ottenuti dai bambini provenienti da famiglie svantaggiate è regredito di anni. Le conseguenze psicologiche a lungo termine della crisi, incluse ansia e depressione, verranno accusate più intensamente dalle persone più povere.
Le descrizioni dello stato di natura immaginavano una condizione senza leggi in cui gli esseri umani non potevano neanche dormire per timore di venire uccisi, e alcuni competevano con violenza per accedere alle necessità basilari. Altri perseguono onori e riconoscimenti dai propri simili per rendersi immuni dalle minacce esterne. Il contratto sociale è necessario a porre fine a ciò che Thomas Hobbes definiva la «guerra di tutti contro tutti». Gli individui perdono parte della propria libertà ma ottengono maggior sicurezza nella consapevolezza che essa è gestita dallo stato.
LA SOCIETÀ LIBERALE non è libera dalla paura. Mentre diamo per scontato il nostro debito di obbedienza all’autorità politica, ci sono enormi discrepanze nella protezione che lo stato offre ai propri soggetti. Ci viene richiesto di fare i medesimi sacrifici, ma lo stato non si assume le stesse responsabilità nei confronti di tutti.
L’emergenza sanitaria può passare. Ma la crisi economica, politica e sociale che ha messo in moto non se ne andrà. Tutte insieme costituiscono una crisi del sistema: la rottura del contratto sociale. La World trade organization ha previsto il peggior collasso nel commercio in una generazione, livelli di disoccupazione senza precedenti, e una crisi economica storica. La retorica della solidarietà e della cooperazione proveniente da governi nazionali e istituzioni transnazionali, come l’Unione europea, contraddice una realtà brutale fatta di profonde ineguaglianze sociali e economiche.
L’ascesa dell’estrema destra è alimentata da un sistema che richiede sempre più obbedienza di tutti mentre offre protezione solo ad alcuni. Dobbiamo rivedere i fondamenti del nostro contratto sociale. Dobbiamo porci domande fondamentali sul modello su cui gli stati liberali hanno costruito le loro relazioni sociali: sul posto di lavoro, nelle case, nelle istituzioni educative, nella politica e nel sistema giudiziario. Si tratta di una crisi di legittimità liberale. Non ci possono essere soluzioni tecnocratiche in assenza di un radicale cambio di prospettiva. Si continueranno a tenere elezioni e i partiti continueranno a alternarsi al governo e all’opposizione. Ma finché ripetono gli errori del passato, larghe porzioni della popolazione rimarranno senza diritti.
La minaccia alla nostra condizione civile non è solo la crisi sanitaria, ma l’emergenza permanente che si prospetta nel nostro futuro. La gestione della pandemia ha fatto sì che ci fosse una concentrazione di potere senza precedenti nelle mani di pochi: esperti scientifici, agenzie di controllo dei dati, élite politiche e economiche. Continueranno a affidarsi all’autorità dello stato per esigere l’obbedienza di tutti mentre offrono una protezione solo parziale.
Se non spostiamo il contratto sociale in una direzione radicalmente egalitaria, il rapporto con lo stato che essa consente si frantumerà. Lo stato perderà la sua autorità e la democrazia rappresentativa perderà la sua funzione di meccanismo che legittima quell’autorità. La politica si farà portavoce solo dei più forti, di coloro che controllano i dati, i soldi, le armi, o una combinazione di tutto ciò. Lo stato è un’agenzia che ha il monopolio dell’uso della forza, ma nessuna autorità legittima.
Rousseau ha scritto che «l’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene». Il Contratto sociale non intendeva spiegare perché gli stati falliscono, ma in che modo la loro autorità è giustificata. Rousseau offriva una semplice soluzione: la democrazia. La democrazia richiede che il contratto sociale sia radicato nella volontà generale, che elimini le diseguaglianze di benessere e potere, e che trasformi lo stato da un mezzo di dominio a uno di emancipazione. Nel ventunesimo secolo, potremmo non essere più lontani dall’idea di democrazia di quanto lo fosse Rousseau. Ma non siamo neanche altrettanto vicini.
*Comparso in origine su The New Statesman, per gentile concessione dell’autrice. Traduzione di Giovanna Branca
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