Le urne per le elezioni presidenziali in Egitto si chiuderanno stasera. Ma nessuno si aspetta una sorpresa. Abdel Fattah al-Sisi, che ha governato il paese con il pugno di ferro per un decennio, otterrà un terzo mandato. La vittoria certa di al-Sisi, tuttavia, non si basa sulla popolarità o su notevoli risultati economici, ma sul suo controllo delle istituzioni dello Stato, sul formidabile apparato di sicurezza e sull’eliminazione di qualsiasi sfidante.

Nonostante le elezioni fossero previste per la primavera 2024, il regime le ha organizzate in fretta e furia, prima del previsto. Non è stata fornita alcuna motivazione ufficiale, ma i sostenitori di Sisi si sono affrettati a confutarne la straordinarietà, affermando che l’anticipazione è in linea con la Costituzione egiziana.

RESTANO solo le congetture. La convinzione prevalente è che al-Sisi volesse solidificare la sua legittimità prima di attuare ulteriori svalutazioni monetarie e misure di austerità, rinviate nonostante le assicurazioni fornite al Fmi e a altri finanziatori internazionali. Secondo questa ipotesi, le elezioni darebbero ad al-Sisi una maggiore copertura – sia dal punto di vista legale che della percezione pubblica – per attuare azioni economiche così significative da esacerbare la povertà degli egiziani e potenzialmente istigare rivolte sociali.

Nelle ultime due elezioni, nel 2014 e nel 2018, al-Sisi si è assicurato la vittoria con circa il 97% dei voti attraverso un processo orchestrato dai servizi di sicurezza. Gli enti statali sono stati mobilitati per garantire che dipendenti pubblici e lavoratori votassero a suo favore.

Nonostante ciò, l’affluenza alle urne è costantemente diminuita da un’elezione all’altra, riflettendo la diffusa disillusione dei cittadini nei confronti delle procedure politiche sostenute dal regime dopo il colpo di Stato. L’affluenza alle presidenziali del 2014 si è attestata al 47%, scendendo al 41% nel 2018. Le elezioni del Senato del 2020 hanno registrato un’affluenza di appena il 14%, mentre le parlamentari dello stesso anno hanno visto una partecipazione di appena il 28%.

Nel 2014 è stata promulgata una legge che imponeva una multa di 500 lire egiziane (15 euro) agli elettori aventi diritto che si fossero astenuti dal voto. La sanzione non è mai stata applicata: sarebbe stato impossibile sanzionare quasi la metà della popolazione.

Lo scoppio della guerra in Palestina il 7 ottobre potrebbe aver dato ad al-Sisi un po’ di tregua finanziaria: i donatori internazionali sono sempre più preoccupati per la stabilità regionale. I governi occidentali hanno cercato la collaborazione dell’Egitto su Gaza, spingendo l’Ue ad accelerare i piani di sviluppo economico per l’Egitto. Inoltre, il Fondo monetario internazionale sta prendendo in seria considerazione un programma di prestito di tre miliardi di dollari per il Paese.

NEGLI ULTIMI dieci anni, al-Sisi ha represso il dissenso in vari ambiti, usando il pretesto della «guerra al terrorismo» per smantellare o indebolire i partiti di opposizione, i sindacati indipendenti, i media, i gruppi studenteschi, le reti comunitarie e le organizzazioni per i diritti umani. Tuttavia, spinta dalla crisi economica e dal calo del sostegno regionale al regime, l’opposizione egiziana assediata si è impegnata in lotte su piccola scala, per ampliare gradualmente lo spazio per le attività politiche e rilanciare la politica di strada.

In tale contesto si inserisce l’abortita candidatura presidenziale di Ahmad Tantawi. Originario di Kafr el-Sheikh, nel Delta del Nilo settentrionale, ex parlamentare allineato con il partito Karama di orientamento nasserista, Tantawi era stato un critico di al-Sisi durante la sua permanenza in parlamento dal 2015 al 2020, attirandosi le ire del regime. Ha perso il suo seggio alle elezioni del 2020 tra le accuse di brogli elettorali.

A causa delle minacce alla sicurezza, nel 2022 Tantawi ha cercato brevemente l’esilio a Beirut, da dove ha annunciato le sue aspirazioni presidenziali. Nel maggio 2023 è tornato in Egitto per lanciare la sua campagna elettorale, ottenendo il sostegno di vari partiti di opposizione, dei resti dei gruppi di attivisti del 2011, di alcune celebrità e di segmenti di giovani precedentemente non coinvolti.

Secondo le mie fonti nella comunità di attivisti che sostengono Tantawi, nessuno si illudeva di sconfiggere al-Sisi attraverso il processo elettorale. Al contrario, hanno sostenuto Tantawi soprattutto per sfruttare l’opportunità di mobilitazione e organizzazione, dato che i periodi elettorali sono spesso teatro di una relativa apertura dello spazio pubblico e attirano l’attenzione dei media internazionali.

Per partecipare alle presidenziali, la legge egiziana prevede la raccolta di 25mila firme di cittadini, convalidate da uffici notarili statali, provenienti da almeno 15 province (con un minimo di mille firme ciascuna) o il sostegno di almeno venti parlamentari. Queste procedure di nomina sono state studiate per garantire il controllo statale sulla selezione finale dei candidati, favorendo quelli approvati dal parlamento allineato al regime e ostacolando la campagna elettorale sul territorio, che potrebbe subire interferenze da parte dei servizi di sicurezza.

TANTAWI ha optato per una campagna di base, cercando di raccogliere le firme dei cittadini. Questo impegno lo ha sottoposto per un mese a una serie di misure di sicurezza contro la sua famiglia e i suoi sostenitori, ad aggressioni di assalitori non identificati e a ostacoli burocratici da parte degli uffici notarili statali. Inoltre, il suo iPhone è stato bersagliato da un presunto spyware israeliano legato al regime egiziano, che ha indotto Apple a distribuire un aggiornamento di sicurezza sui suoi prodotti.

Un giorno prima della scadenza del termine per la presentazione delle firme di sostegno al Comitato elettorale nazionale, Tantawi, dopo aver raccolto 14mila firme, ha annunciato il suo ritiro il 14 ottobre, citando vessazioni della sicurezza e arresti degli attivisti.

Sebbene fosse ampiamente previsto che i servizi di sicurezza avrebbero perseguito Tantawi dopo le elezioni, la rappresaglia di al-Sisi è arrivata prima, quando il procuratore generale a inizio novembre ha annunciato il processo di Tantawi con l’accusa di «diffusione di documenti elettorali senza autorizzazione ufficiale». Un’altra figura chiave dell’opposizione che intendeva candidarsi era Gameela Ismail, capo del partito quasi liberale Dostour. La sua breve campagna elettorale si è bruscamente conclusa il 10 ottobre a causa delle pressioni dei membri del partito.

Sono tre dunque i candidati in corsa contro Sisi, essenzialmente con l’approvazione dei servizi di sicurezza. Abdel Sanad Yamama è a capo del Partito Wafd, un tempo forza nazionalista liberale, ma ora degenerato in una rete di patronato per una cricca di uomini d’affari in lizza per ottenere il favore dei governanti egiziani.

Hazem Omar, a capo del Partito Repubblicano del Popolo, rappresenta un oscuro gruppo di uomini d’affari ed ex membri del disciolto Partito nazionale democratico di Hosni Mubarak. La storia politica di Omar è priva di qualsiasi forma di dissenso; al contrario, elogia costantemente sia il regime che al-Sisi.

FARID Zahran, leader del Partito socialdemocratico egiziano, nonostante abbia negato di essere stato coinvolto in una riunione che avrebbe incoraggiato la sua candidatura per dare una facciata democratica a un’elezione predeterminata, ha ottenuto l’approvazione di 20 parlamentari, a indicazione del consenso del regime. Il suo partito ha una storia di collaborazione con al-Sisi, contribuendo alla formazione del gabinetto post-golpe e negoziando con i servizi di sicurezza durante le elezioni parlamentari.

Nel corso della sua campagna presidenziale, Zahran ha evitato di menzionare al-Sisi o di muovere critiche sostanziali nei suoi confronti. Si concentra invece sulle critiche ai Fratelli musulmani, come se il tempo fosse rimasto fermo al 2013.

Gran parte dell’opposizione egiziana ha annunciato il boicottaggio delle elezioni, rifiutandosi di esprimere un voto di protesta per Zahran. Questa posizione ha spinto il partito di Zahran a tagliare i ponti con l’opposizione. Il trionfo di al-Sisi alle elezioni sembra assicurato, ma il suo potenziale di rafforzamento sostanziale della sua posizione rimane incerto.

La sua popolarità è fortemente diminuita a causa di vari fattori, in particolare il peggioramento delle condizioni economiche che colpiscono tutti i segmenti della società al di là della sua stretta cerchia di leader militari. Il vero banco di prova è rappresentato dalla traiettoria economica del Paese, che funge da vera e propria misura del sentimento pubblico.

IL CONFLITTO a Gaza introduce un’ulteriore complessità. Rappresenta una minaccia per un’economia già indebolita e potrebbe riaccendere gradualmente il malcontento pubblico nelle strade.

Sebbene la prospettiva di una rivoluzione simile agli eventi del 2011 sembri improbabile nel breve termine, non può essere del tutto scartata se l’instabilità regionale ed economica persiste. Alla luce di tali sviluppi, le elezioni sembrano avere un’importanza secondaria in mezzo alla moltitudine di questioni critiche che attanagliano l’Egitto.