L’ultimo sgarbo di Joe Manchin: basta Senato, meglio presidente
La corsa alle presidenziali statunitensi diventa sempre più articolata. Il senatore democratico del West Virginia Joe Manchin, con un video pubblicato online, ha annunciato che non si candiderà alla rielezione del 2024, in quanto preferisce «viaggiare per il Paese» e valutare «se c’è l’interesse di costruire un movimento per mobilitare il centro, trovare un terreno comune e riunire gli americani».
Manchin aveva già ventilato più volte di essere aperto a un’offerta di qualche terzo polo per la presidenza, è apparso agli eventi del gruppo No Labels, un’organizzazione politica la cui missione dichiarata è quella di sostenere il centrismo, ha rilasciato dichiarazioni riguardo alla polarizzazione di entrambi i partiti, e più di tutto, da senatore democratico, ha votato troppo spesso con i repubblicani, diventando l’ago della bilancia in un Senato dove i dem hanno una maggioranza risicata. Per questa ragione la sua mossa renderà ancora più difficile per i Democratici mantenere la maggioranza al Senato nel 2024.
Il seggio occupato da Manchin è il seggio più repubblicano oggi detenuto da un democratico in tutto il paese. Il West Virginia è uno stato saldamente conservatore, dove nel Donald Trump ha vinto con 39 punti di distacco, e dove i dem avrebbero avuto difficoltà a mantenere il seggio anche se Manchin fosse rimasto, e che ora i repubblicani hanno praticamente in tasca, con la sicurezza di poter capovolgere la situazione, e riconquistare la maggioranza al Senato.
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Il “Plan 25” di Trump: occupazione militare della democrazia UsaGrazie alle sue opinioni più conservatrici che democratiche, e nessun problema a votare contro il suo stesso partito, in West Virginia Manchin è riuscito a vincere 3tre elezioni, nonostante la forte tendenza repubblicana dello stato nella corsa presidenziale. Secondo il sito di analisi politica Split Ticket, Manchin è stato di gran lunga il candidato al Senato più forte che i democratici abbiano presentato nel paese negli ultimi tre cicli elettorali.
La sua corsa alle presidenziali porterà via probabilmente dei voti a Biden, così come farà (nuovamente) quella di Jill Stein, due volte candidata alle presidenziali del Partito dei Verdi, e che si ricandiderà per il 2024, riportando alla memoria i ricordi del 2016, quando il suo 1% di voti conquistati potrebbe aver contribuito alla vittoria sul filo di lana di Trump.
Stein, che è ebrea, accusa da tempo Israele di aver commesso crimini di guerra e ha affermato che gli Stati Uniti devono smettere di inviare aiuti a Tel Aviv. Giovedì, durante una conferenza stampa, ha chiesto un’indagine sulla campagna militare di Benjamin Netanyahu a Gaza e sul ruolo svolto da Biden e altri leader statunitensi nell’aiutare il paese quando ha dichiarato guerra ad Hamas dopo l’attacco a sorpresa del 7 ottobre. E questo è esattamente il tasto dolente della base democratica più di sinistra, che potrebbe essere portata a non votareper Biden ma per Stein, o non votare del tutto.
L’ascesa di candidati indipendenti e di terze parti non suscita preoccupazioni solo nel partito democratico. Chi può pescare nel bacino elettorale di Trump è un altro indipendente ed ex dem: Robert Kennedy Jr, figlio di Bobby e nipote di John, che negli anni si è man mano discostato dal partito democratico e anche dalla realtà, passando dalla militanza ambientalista a quella no vax, sempre più vicino alle fazioni complottiste più radicali, come quelle secondo cui i bulldog francesi causano il riscaldamento globale. Da quando ha deciso di correre come indipendente, Kennedy sta raccogliendo assegni da ex donatori di Trump, molto più di quanto non raccolga dai dem delusi da Biden.
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