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L’ultimo scontro «per i diritti» di un tycoon che obbedisce solo alla destra

L’ultimo scontro «per i diritti» di un tycoon che obbedisce solo alla destra

Big data e Ia Dai licenziati in massa dell'ex Twitter agli ordini eseguiti nell'India di Modi e nella Turchia di Erdogan. È la punta avanzata e più ricca della filosofia Tescreal, il credo dei super miliardari digitali

Pubblicato circa un mese faEdizione del 1 settembre 2024

Censura? Fine della libertà di parola in Brasile? Musk difensore dei diritti? Domande – anche ignorando la biografia del personaggio, i dubbi sulle radici delle sue ricchezze, i discutibili modi con cui si esprime – che potrebbero far sorridere amaramente i 13 mila licenziati dal social network, da quando ne è diventato proprietario. Potrebbero indignare quelle centinaia di “moderatori” mandati via con un email perché il loro ruolo in X era diventato improvvisamente inutile.

Comunque domande che girano. Domande alle quali, senza molta originalità, un po’ tutti i leader delle destre nel mondo hanno risposto ieri, utilizzando le stesse parole di Elon Musk, vecchie ormai di cinque giorni. Scritte in un tweet di mercoledì scorso, quando il giudice brasiliano De Moraes aveva chiesto a X di nominare un rappresentante nel paese, in tempi strettissimi. E gli amici del secondo uomo più ricco del mondo ieri si sono adeguati pedissequamente. «Censura», hanno riscritto, in brevi tweet o messaggi su FaceBook. Tutti, da Trump all’improbabile Simone Pillon nostrano.

E gli altri? Gli altri hanno scelto di rispondere non con 240 battute ma coi fatti. Elencando fatti. Tutti. Dagli attivisti per i diritti digitali, a cominciare da uno dei più autorevoli, Paris Marx, per finire ad Anonymous (@anonymousCentral). Che certo non ha alcuna autorizzazione a parlare a nome di quella strana ed indefinita identità che è l’anonimo collettivo ma che ieri ha detto che la sospensione brasiliana di X non basta. Andrebbe messo fuorilegge.

Per restare ai fatti, comunque, occorre fare qualche passo indietro. E magari non fermarsi a poche settimane fa, quando Elon Musk si è scontrato duramente col nuovo governo di Londra, perché di fatto ha incitato la vandea inglese a rivoltarsi dopo la diffusione di false notizie sull’omicidio di una bambina ad opera di un migrante. Il proprietario, a commento di quel delitto, aveva scritto sul suo social che «in Inghilterra una guerra civile è inevitabile». Anche lì, davanti alle durissime proteste del premier Starmer, aveva replicato denunciando propositi censori. I suoi tweet razzisti, comunque, sono ancora lì.

No, per capire bene cosa intenda Musk per “diritto di parola” non bisogna, forse, neanche fermarsi all’indagine – ancora non chiusa – dell’Unione europea sulla violazione delle norme che lo obbligherebbero alla moderazione sulla diffusione di notizie false. Forse occorre andare un po’ più indietro, ancora di qualche mese. Ad aprile, in India. La vicenda comincia in realtà in Inghilterra, quando la Bbc manda in onda – ma solo in Inghilterra – un documentario dove si raccontano le responsabilità del premier indiano Modi nelle stragi nel Gujarat, all’epoca delle rivolte di 23 anni fa. L’onnipresente governo indiano, assicuratosi che nessun canale locale avrebbe ripreso il filmato, giocò di anticipo anche con gli altri media: impose a X-Twitter di “censurare” tutti i messaggi ed i link che portavano al video, che nel frattempo era stato “caricato” sui canali YouTube. Una cinquantina di tweet però sfuggirono alle maglie. Subito se ne accorsero e il governo di Nuova Delhi inviò una richiesta di cancellazione. Eseguita nel giro di venti minuti. Quando un giornalista inglese, settimane dopo, chiese spiegazioni, Musk rispose così: «Le regole in India sono queste, piuttosto rigide e noi non possiamo andare contro le leggi di un paese».

Dall’India alla Turchia. Erano i giorni, maggio ’23, che precedettero la rielezione di Erdogan. Su social di Musk sparirono qualcosa come 40mila messaggi, sospesi “misteriosamente” migliaia di account. Lo aveva chiesto il governo in carica, cioè sempre Erdogan. Pure a qui qualche giornalista – fra i pochi disposti a fare domande vere – chiese spiegazioni. La risposta fu più o meno la stessa: «La scelta era fra limitare completamente X o limitare l’accesso ad alcuni tweet. Abbiamo optato per la seconda».

Si potrebbe continuare a lungo, comunque. Ma il senso sarebbe sempre lo stesso: basta saper leggere per capire che X rispetta le leggi nazionali solo quando glie lo chiedono i governi di destra.

Per il resto, negli altri paesi e continenti, si prende il ruolo che si è autoassegnato come seguace della filosofia Tescreal. L’acronimo inventato da una delle maggiori studiose nel mondo del capitalismo digitale, Timnit Gebru – cacciata da Google perché aveva denunciato i rischi delle sue ricerche – e che, per farla breve, è il credo dei super miliardari. Che si sono ritagliati il compito di disegnare il futuro per l’umanità, a cominciare dalle “loro” intelligenze artificiali. Settore dove appunto la startup di Musk ha già raccolto sei miliardi di dollari, finanziati in gran parte dal principe saudita Bin Talal.

Ed allora, probabilmente, la libertà di pensiero sta da un’altra parte. Non sta da chi invoca il “sovranismo” parlando di migranti in Inghilterra ma poi non rispetta le norme dei paesi sovrani. Sta altrove. Anche se – andrebbe aggiunto – non sta neanche nei social. Su nessun social. Forse solo su Signal. Ma questo è un altro discorso.

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