L’ultima goccia del Burkina Faso
Internazionale

L’ultima goccia del Burkina Faso

Sostenitori del colpo di stato militare in festa a Ouagadougou, ccapitale del Burkina Faso – Ap

Sahel elettrico Promesse non mantenute, prezzi alle stelle, stragi jihadiste e malcontento anti-francese. Finisce male, con un golpe, la prima pagina di storia democratica del Paese. Il Tribunale militare smentisce la liberazione di Diendéré e conferma per oggi 31 gennaio la ripresa del processo Sankara, in cui il generale autore del tentato colpo di stato del 2015 è imputato

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 31 gennaio 2022
Grazia Le MuraBOBO DJOULASSO

Goccia dopo goccia il vaso trabocca. È quello che attoniti e impotenti viviamo in Burkina Faso: il vaso colmo trabocca e travolge Roc Marc Christian Kaboré, presidente del Burkina Faso dal 29 gennaio 2015 a domenica 23 gennaio 2022, e con lui il tentativo democratico per un paese libero.

Molte le gocce pesanti. Goccia “Inata”: ha giocato un ruolo decisivo nell’animo di molti, soprattutto dei parenti delle vittime dell’attentato nella località a nord del paese (53; 49 militari e 4 civili). Goccia “limitazione dei diritti”: dal manifestare al comunicare con i social, la stretta ha lacerato la corda già tesa. Goccia “corruzione”: spudoratamente sotto gli occhi di tutti, ha mostrato il nervo scoperto di un’illegalità verticale ma anche orizzontale. Goccia “caro vita”: l’impennata dei prezzi ha messo tutti in ginocchio; mais, zucchero, olio, riso e altri generi di prima necessità schizzati a prezzi impossibili in un Paese dove la maggioranza vive al di sotto del fatidico «un dollaro a testa».

GOCCIA DOPO GOCCIA Kaboré è stato inghiottito dalla paura, forse dall’incapacità di fare scelte coraggiose e controcorrente: scelte impopolari per chi accentra il potere e popolari tra la gente e per la gente. I giorni precedenti la rielezione del 2020 erano un susseguirsi di promesse: ha promesso tanto, ha mantenuto poco.

Roch Marc Christian Kaboré (Ap)

 

In mano aveva una patata bollente: un Paese che con un sollevamento popolare ha messo fine al lungo «dominio Compaore» (27 anni), con tanti “amici” dell’ex Presidente sparsi qua e là nelle istituzioni con ruoli importanti. A questo si è aggiunto il crescente imporsi del terrorismo e l’instabilità. La difficoltà di far lavorare in armonia politica e forze armate con un unico obiettivo: la crescita dell’intero Paese e non di alcune categorie, zone o fazioni. Il diffuso malcontento dei militari, che con scarsi mezzi difendono il paese rischiando la vita, e della popolazione, stanca di una vita quotidiana sempre più difficile. E poi il fermento dei Paesi vicini: Mali, Niger, Guinea.

Dopo le prime gocce a novembre, il 13 gennaio il governo intercetta un tentativo di capovolgere il potere e argina le proteste oscurando ancora i social. Il 22 gennaio manifestazioni popolari annunciate ma non autorizzate, sono disperse con la forza. Il 23 colpi di arma da fuoco in diverse caserme di Ouagadougou, ma anche a Kaya e Ouahigouya (città del nord martoriate dal terrorismo). Il governo riconosce malcontento e ammutinamento, ma smentisce il colpo di stato. Chiare e condivise le richieste dei militari. La gente si raduna attorno alle caserme ed esprimere appoggio e solidarietà. Mentre girano voci discordanti sulla richiesta delle dimissioni di Kaboré, è incendiata la sede del partito al potere: un segno eloquente.

NEL POMERIGGIO IL BURKINA si qualifica per i quarti di finale della Coppa d’Africa. La gente si riversa per le strade. Lo sport si mescola alla politica e la festa si fa nuova occasione per protestare contro l’insicurezza e il terrorismo. Il Burkina, come Mali e Niger, è investtita dall’efferata violenza dei gruppi armati jihadisti affiliati ad al Qaeda e allo Stato islamico. Troppe vittime (più di 2 mila), così gli sfollati (quasi 2 milioni), immensi territori abbandonati. L’impasse nella lotta contro i jihadisti e l’inabilità ad arrestare il reclutamento della manovalanza crea frustrazione e rabbia.
L’apparato statale è accusato d’incapacità nell’attuare efficaci strategie contro il terrorismo. Molto discussa la scelta di Kaboré di appoggiare le milizie dei villaggi e il cambio continuo dei ministri della Difesa.

La Francia, accusata di non aver protetto i Paesi del Sahel dal terrorismo e di essersi schierata sempre con i governi, con 53 soldati caduti nell’operazione Barkhane, deve di certo rivedere la sua strategia.

Il 24 gennaio è giorno di confusione e attesa. In serata i militari leggono in tv due comunicati del «Mouvement Patriotique pour la Sauvegarde et la Restauration» (Mpsr), che assume il potere nella persona del tenente-colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba. 41 anni, è un alto ufficiale di fanteria dell’esercito diplomato alla scuola militare di Parigi; esperto in scienze criminali, difesa e strategia, gestione del comando.

NELLA NOTTE TRA IL 23 E IL 24 viene arrestato il presidente. Sarebbe al sicuro e in buona salute; ma di lui non si sa più nulla (non si conosce neanche il numero delle vittime e dei feriti). Forse è al Campo Militare “Sangoulé Lamizana” di Ouagadougou, dove tutto è iniziato, ma non ci sono conferme. Nel Campo c’è la “Maison d’Arrêt et de Correction des Armées”, dove è detenuto il generale Gilbert Diendéré, molto vicino all’ex presidente Blaise Compaoré destituito dal popolo nel 2014. Diendéré è artefice del tentato golpe del 2015 ed è implicato nell’uccisione di Thomas Sankara. Gira subito voce della sua liberazione, ma il Tribunale militare smentisce pubblicamente e annuncia la ripresa del processo Sankara per lunedì 31 gennaio.

I MILITARI FANNO SAPERE che raggruppano tutte le forze di difesa e sicurezza e che, in un tempo accettabile e con l’accordo di tutti, proporranno un calendario per il ritorno all’ordine costituzionale. Intanto è sospesa la Costituzione, destituito il presidente, sciolta l’Assemblea nazionale, indetto il coprifuoco dalle 21 alle 5, chiuse le frontiere terrene e aeree.

Ouagadougou, 24 gennaio 2022 (foto Ap)

 

Le gocce sono ora sono una pioggia compatta: un colpo di Stato mette fine alla prima presidenza eletta democraticamente. Un modo doloroso per chiudere la prima pagina di storia democratica del Burkina Faso. Dopo Guinea-Conakry e Mali, è il terzo golpe ravvicinato in Africa occidentale. A cui va aggiunta l’inusuale successione al potere avvenuta in Ciad alla morte di Idriss Déby. E militari che in Sudan bloccano il processo di ritorno alla democrazia.

LEGITTIMA LA RICHIESTA dei militari di mezzi adeguati e di una chiara strategia di governo. Legittima l’invocata sicurezza del territorio. Ma non è soluzione legittima la violenza di un golpe militare, che segna l’indebolimento della conquista democratica raggiunta dal popolo burkinabé nel 2014. Un documento delle organizzazioni della società civile (Balai Citoyen, Lega dei Panafricanisti, Afrikamba, Associazione Wendsongsida, Lega Giovanile di Kaya, 2 ore per Kamita, Associazione TeegaWende), protagonisti con il popolo della caduta del regime di Compaoré, dopo aver riconosciuto che «l’ampiezza delle disfunzioni nel governo della sicurezza, nonostante i numerosi allarmi e le azioni di vari attori, erano chiari segni dell’incapacità e dell’incompetenza di un regime in preda alla disperazione», aggiunge che, come «organizzazioni impegnate nello stato di diritto e nei valori democratici, si condannano i colpi di stato militari o costituzionale (modifiche degli articoli per mantenere il potere)». Si ricordano quindi le aspirazioni del popolo ai «valori di integrità, giustizia sociale, governo virtuoso e patriottismo».

Da una parte, la parte di popolazione che vede come una “liberazione” il momento presente e nutre tante speranze in Damiba; dall’altra quella che, insieme ai soggetti della società civile, condanna il colpo di stato e chiede il rispetto degli impegni internazionali e dei diritti umani e il ritorno all’ordine costituzionale, è garanzia di democrazia e di libertà.

IL DOCUMENTO evidenzia 7 punti: priorità della lotta all’insicurezza, recupero del territorio nazionale, ritorno degli sfollati ai loro villaggi; approfondimento degli ideali e delle conquiste della rivolta popolare del 2014, soprattutto in merito alla «leadership virtuosa»; rispetto dell’integrità fisica e morale del presidente e dei membri del governo; condanna della violenza durante il colpo di stato; malgoverno, cattiva gestione e corruzione del regime Kaboré; proseguimento dei processi e delle procedure giudiziarie in corso (da Sankara a Zongo a Dabo agli abusi durante la rivolta popolare del 2014); rapida eliminazione di tutte le restrizioni alle libertà.

Ouagadougou, 27 gennaio 2022 (foto Ap)

 

La sera del 27 gennaio Damiba appare alla tv nazionale per ribadire la priorità della lotta al terrorismo e richiamare tutti al senso di responsabilità. L’avvento del Mpsr, dice, è stato imposto dal corso degli eventi che hanno indebolito il Paese attaccato da tutte le parte da gruppi armati. Annuncia la convocazione di tutte le forze vive per stilare un feuille de route. Promette di prendere in considerazione i problemi delle fasce deboli (agricoltori, allevatori e casalinghe). Mette in guardia che non negozierà con chi prepone all’interesse comune i propri interessi egoistici e sarà inamovibile con chi tradisce le aspirazioni del popolo. Afferma che a situazione stabilizzata si ritornerà all’ordine costituzionale.

Sono ore di trepidazione e ansia, attesa e poca chiarezza. La speranza di pace e futuro s’impone e si auspica diventi realtà. E, come conclude il documento citato, «restiamo vigili e mobilitati sul futuro degli eventi».

Errata Corrige

Promesse non mantenute, prezzi alle stelle, stragi jihadiste e malcontento anti-francese. Finisce male, con un golpe, la prima pagina di storia democratica del Paese. Il Tribunale militare smentisce la liberazione di Diendéré e conferma per oggi 31 gennaio la ripresa del processo Sankara, in cui il generale autore del tentato colpo di stato del 2015 è imputato

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