Internazionale

L’ultima dei Manson

L'ex seguace di Charles Manson Leslie Van Houten, scortata dai vice dello sceriffo, lascia l'edificio del tribunale penale di Los Angeles il 27 dicembre 1976 foto ApL'ex seguace di Charles Manson Leslie Van Houten, scortata dai vice dello sceriffo, lascia l'edificio del tribunale penale di Los Angeles il 27 dicembre 1976 – Ap

Stati uniti Dopo 53 anni di carcere Leslie Van Houten, condannata insieme al santone della setta per gli omicidi dell’estate 1969 in California, potrà uscire di prigione. Il governatore non si oppone

Pubblicato più di un anno faEdizione del 9 luglio 2023

Quando nell’ottobre del 1969 gli agenti del Inyo Sheriff’s department, assistiti dai ranger dei parchi nazionali, hanno fatto il raid sul Barker Ranch, nel deserto californiano, pensavano di aver arrestato per vandalismo una banda di hippies che usavano le vecchie baracche come residenza e base per fare incursioni illegali nel vicino parco della Valle della Morte. Solo dopo averli trasportati nelle celle della vecchia County Jail di Independence, a quattro ore abbondanti di macchina, avrebbero scoperto la loro vera identità. E quella del barbuto leader del gruppo, trovato nascosto dentro ad un armadio di cucina, con sulla fronte il vistoso tatuaggio di una svastica.

CHARLES MANSON era riparato con la sua banda di seguaci, in maggioranza giovani donne, nel remoto nascondiglio vicino ad una vecchia miniera dopo aver ordinato gli omicidi Tate e LaBianca che avevano sconvolto l’America per la violenza insensata che li avevano contraddistinti. La sera del 8 agosto 1969, Manson aveva mandato il suo braccio destro, Tex Watson, con Patrica Krenwinkel, Susan Atkins e Linda Kasabian alla casa del produttore musicale Terry Melcher (collaboratore tra gli altri dei Byrds di Dave Crosby e Roger McGuinn). Melcher era stato presentato a Manson da Dennis Wilson, il batterista dei Beach Boys, e si era apparentemente rifiutato di registrare un disco dello stesso Manson, alle cui aspirazioni da rock star non corrispondeva però un uguale talento. Il rifiuto aveva apparentemente indotto Manson alla spedizione punitiva.

Nella casa di 10050 Cielo Drive, vicino a Benedict Canyon non c’era però più Melcher, bensì l’attrice Sharon Tate, la giovane, bella moglie di Roman Polanski, incinta di otto mesi, e quattro suoi amici. La notizia del massacro di tutti i presenti da parte di Watson e le sue “assistenti”, ragazze poco più che adolescenti, non fece quasi a tempo a raggelare la tiepida estate di Los Angeles che gli investigatori del LAPD fecero un’altra macabra scoperta qualche chilometro più giù, lungo il crinale delle Hollywood Hills. In una casa della tranquilla Waverly Drive, nell’agiato quartiere di Los Feliz, gli agenti trovarono un altro bagno di sangue. Lo stesso Manson, accompagnato da Watson, Krenwinkel, Atkins e Kasabian e stavolta anche da Clem Grogan e Leslie Van Houten, si erano introdotti nella villa di Rosemary e Leno LaBianca, facoltosi proprietari di supermercati.

La casa era stata apparentemente scelta perché qualche tempo prima Manson era stato ad una festa da un vicino e le vittime selezionate a caso. Leno LaBianca venne accoltellato 12 volte da Watson in salotto, mentre le ragazze legavano ed uccidevano la moglie che in camera da letto aveva tentato di fuggire. Come la sera prima, gli assassini avevano imbrattato i muri, scrivendo slogan contro la polizia col sangue delle vittime.

I DELITTI entrarono da subito nella leggenda morbosa del true crime, eletti da stampa e rotocalchi a simbolo di crimine «satanico», paradigma di male assoluto e incarnazione del lato oscuro della controcultura, vista l’intersezione di contestazione giovanile, Hollywood, droga e musica Rock idealmente rappresentata dalla Manson Family. I delitti sembravano fatti su misura per amplificare il sensazionalismo da cronaca nera con un voyerismo spesso strumentale. Sarebbero da allora stati addotti in modo fin troppo scontato a metafora della perdita dell’innocenza generazionale.

Ed i delitti non hanno mai lasciato il loro posto centrale nell’immaginario. Rivisitati in libri e fiction, cinema e documentari – dal Helter Skelter scritto dallo stesso pubblico ministero del processo, Vincent Bugliosi. Il fascino oscuro della vicenda è imperituro (rimangono a tutt’oggi un record le lettere di ammiratrici che hanno continuato ad essere spedite a Manson durante i 47 anni di detenzione fino alla sua morte nel 2017). Più di recente gli eventi di quella summer of hate sono stati originalmente rivisitati, anzi retroattivamente modificati, dall’ucronía di Quentin Tarantino in C’era una volta a Hollywood, in cui gli assassini sbagliano indirizzo e vengono neutralizzati da Brad Pitt e Leonardo DiCaprio. Precedentemente, Charlie Says, un film di Mary Harron, aveva tracciato il ritratto psicologico delle autrici materiali, Susan Atkins, Katie Krenwinkel e Leslie Van Houten, che dopo i delitti commessi da ventenni, si trovano ad affrontare la realtà del plagio subito dal santone che avevano seguito nell’allucinazione apocalittica.

LE GIOVANI SEGUACI avevano conosciuto Manson fra il 1966 ed il 1968 a San Francisco e Los Angeles. Perlopiù ragazze di buona famiglia, lo avevano seguito nelle comuni fra Topanga Canyon e lo Spahn Ranch, un vecchio set di film western all’estremità settentrionale della San Fernando Valley. Erano i primi tempi, in cui la Family era soprattutto dedita al free love e gli acid trips, e le visite a Dennis Wilson, nella casa di Malibu, dove Charlie perseguiva le sue fantasie di diventare un stella del rock. La vita idilliaca avrebbe presto preso una piega più sinistra, man mano che l’umore di Manson – non un guru hippie bensì un criminale abituale con una sostanziosa fedina penale – si faceva più cupo, le sue prediche serali viravano verso teorie di guerra razziale e le sue attività verso lo spaccio pesante.

Le ragazze erano il suo esercito personale, discepole impressionabili dalla fedeltà assoluta, al punto che alcune, come Lynette Alice “Squeaky” Fromme, oggi libera dopo aver scontato una pena di 34 anni per il tentato assassinio del presidente Gerald Ford nel 1975, professano ancora amore per lui. Nel processo del 1970, tre ragazze, Atkins, Krenwinkel e Van Houten vennero trovate colpevoli e condannate a morte assieme a Manson e Watson. Solo il caso volle che scampassero alla camera a gas dato che l’anno successivo la pena di morte venne abrogata in California. Il divieto fu in vigore per meno di un anno, ma sufficiente a commutare le pene in ergastolo. Kasabian nel processo patteggiò l’immunità in cambio della testimonianza per l’accusa ed è morta il gennaio scorso.

Leslie Van Houten reagisce dopo aver sentito che ha diritto alla libertà condizionale foto Ap
Leslie Van Houten reagisce dopo aver sentito che ha diritto alla libertà condizionale foto Ap

Oltre a Manson morto dietro le sbarre ad 83 anni, e  Atkins anche lei deceduta di cancro da detenuta nel 2009, restano oggi in vita Tex Watson, Krenwinkel e Van Houten – le due donne più a lungo detenute nella storia del California. Entrambe avrebbero da anni in teoria diritto alla libertà vigilata ma ogni recente governatore dello stato da Arnold Schwarzenegger a Jerry Brown all’attuale Gavin Newsom si è sempre avvalso della facoltà di porre un veto alla liberazione condizionata. Quale politico, vuole passare alla storia del paese più giustizialista, per la compassione mostrata al male assoluto?

IL CASO di Leslie Van Houten è particolare. La sua prima condanna venne annullata in appello nel 1976, un secondo processo finirà senza verdetto ed in un terzo, nel 1978, la vedrà infine condannata per omicidio premeditato. Riceve allora una sentenza «da sette anni all’ergastolo». In galera da 53 anni, Van Houten che all’epoca dei fatti aveva 19 anni, è oggi «profondamente pentita» ed una detenuta modello, ragione per cui da cinque anni l’apposita commissione ha deliberato a favore della libertà vigilata. In ogni caso il governatore è però intervenuto per bloccare la commutazione. Nell’ultima istanza, una corte d’appello si è espressa contro l’azione del governatore Newsom il quale ha dichiarato che non intende intervenire ulteriormente, spianando la strada per la liberazione dal carcere femminile di Corona, vicino Los Angeles. La sua legale, Nancy Tetreault ha definito la sua assistita «grata che la commissione abbia riconosciuto che non è più la persona che agì allora».

La sua rappresenterebbe la prima scarcerazione di un membro della Manson Family condannato per i famigerati omicidi. Van Houten verrebbe rilasciata in un mondo che non potrà riconoscere. La sua nuova residenza, per un anno almeno, sarà una casa di accoglienza in cui verrà istruita negli elementi base della vita contemporanea, dalla spesa con le carte di credito all’uso quotidiano di elettronica, computer e telefoni.

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