Se la riconquista, da parte dei lavoratori, dei diritti che sono stati loro sottratti negli ultimi anni non avverrà dal giorno alla notte, il primo maggio si è potuto però respirare un’aria decisamente diversa. L’aumento del salario minimo da 1.302 a 1.320 reais, rivendicato da Lula durante la festa dei lavoratori, non aveva in realtà per nulla entusiasmato i sindacati quando era stato annunciato a febbraio: la Centrale unica dei lavoratori era stata anzi piuttosto critica, ritenendo che l’aumento non fosse quello atteso – il valore corretto sarebbe stato di 1.382 reais – e che non fosse sufficiente.
«È un piccolo ma reale aumento, rispetto all’inflazione, per la prima volta dopo sei anni», ha invece insistito Lula, annunciando inoltre l’invio al Congresso di un progetto di legge «affinché questa conquista diventi permanente», rendendo obbligatorio il riadeguamento ogni anno del salario minimo al di sopra del tasso di inflazione, «come avveniva» nei suoi precedenti mandati presidenziali.

«POTETE STAR CERTI – ha proseguito – che il salario minimo tornerà a essere il grande strumento di trasformazione sociale che è stato in passato», quando, con un aumento del 74%, aveva consentito a «milioni di brasiliani e brasiliane di uscire dalla povertà estrema e andare incontro a una vita migliore». Tanto più che, ha aggiunto, a trarne vantaggio è tutto l’insieme della popolazione: «con più denaro in circolazione, le vendite del commercio aumentano, l’industria produce di più, la ruota dell’economia torna a girare e nuovi posti di lavoro vengono creati».
Nel suo tentativo di risollevare il potere d’acquisto delle fasce più povere e della classe media – il suo cavallo di battaglia dal 2003 -, Lula ha posto l’accento anche su un’altra importante misura: l’esenzione dall’imposta sul reddito per salari fino a 2.640 reais – rispetto alla fascia di esenzione di 1.903 reais rimasta congelata per otto anni -, cioè per 13,7 milioni di brasiliani, pari al 42% di quanti hanno pagato l’Irpef nel 2022.

Il Brasile «tornerà a crescere con inclusione sociale e con la creazione di nuovo impiego», ha garantito Lula, malgrado l’ostacolo rappresentato per il rilancio dell’economia dagli altissimi tassi di interesse mantenuti dal presidente ultra liberista della Banca centrale Roberto Campos Neto. Così, quel primo maggio che «è stato sempre un giorno di lotta tornerà a essere uno spazio di conquista per il popolo lavoratore».

Tra le misure annunciate, c’è anche la reintroduzione della Commissione nazionale per l’eradicazione del lavoro schiavo, a fronte dell’aumento del numero di persone in situazione analoga alla schiavitù, soprattutto nei campi, dove, nel primo trimestre, sono state riscattate 837 persone, impegnate specialmente nei raccolti di riso e di canna da zucchero.
Quello del lavoro schiavo, tuttavia, non è certo l’unico problema in ambito rurale, stando al rapporto 2022 della Commissione pastorale della terra sui conflitti nei campi, cresciuti del 4,61% rispetto all’anno precedente. Come pure si è registrato un aumento degli omicidi (addirittura di circa il 30%), delle minacce di morte, delle invasioni di aree indigene.

E SE, SU QUESTO TERRENO, il governo Lula è atteso al varco proprio dalle principali forze sociali che lo sostengono, un passo avanti, almeno in relazione ai popoli indigeni, è avvenuto il 28 aprile al termine dell’Acampamento Terra Livre, la più importante mobilitazione dei popoli originari del paese, quando il presidente ha firmato i decreti di omologazione, dopo una pausa di cinque anni, di sei nuove aree indigene. Una misura, anche in questo caso, al di sotto delle aspettative – se ne attendevano 14 -, ma accompagnata dall’impegno a realizzare «il maggior numero possibile» di demarcazioni. Anche perché, ha detto Lula ai rappresentanti indigeni, «se vogliamo arrivare al 2030 con deforestazione zero in Amazzonia, abbiamo bisogno di voi come guardiani della foresta».