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«Ludu» Daw Amar, resistere con le parole

«Ludu» Daw Amar, resistere con le parole – Immagine elaborata da Giovanna Massini

Myanmar Dall’indipendenza e fino alla fine dei loro giorni, i Ludu saranno perseguitati per le loro posizioni radicali

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 23 febbraio 2017

«Ludu» Daw Amar è stata una scrittrice e attivista birmana. Se un tessuto intellettuale, di ricerca e di critica è rimasto in vita nonostante la dura repressione e la rigida censura è anche grazie alla sua attività dissidente. Un monumento vivo alla libertà d’espressione verrà inaugurato la prossima settimana, il Yangon Book Plaza, il primo centro commerciale del Sudest asiatico dedicato esclusivamente ai libri. Sulle sue pareti sarà dipinto il volto di Daw Amar, insieme a quello di altri undici scrittori.

In un paese culturalmente impoverito come il Myanmar, non è difficile risalire a un altro primato: dobbiamo spostarci a nord, a Mandalay, dove si trova la prima biblioteca aperta a tutti del paese, la Ludu library. è un tempio della memoria e della parola: costruita da Daw Amar con il marito U Hla a partire dagli anni Trenta. La famiglia letteraria più famosa del paese era diventata nota grazie al giornale di sinistra Ludu (Il popolo), che Daw Amar e U Hla avevano fondato. Daw Amar aveva ricevuto un’educazione internazionale nella scuola battista americana di Mandalay, proseguita alla Rangoon University: nella capitale inizia la sua carriera di scrittrice e traduttrice, inaugurando il suo impegno politico, con la partecipazione attiva allo sciopero degli studenti del 1936 in opposizione al regime coloniale britannico. Con la caduta di questo e l’arrivo dei giapponesi, la coppia «Ludu» prende posizione partecipando al movimento di resistenza. Alla fine del conflitto, nel 1945, ristabilitisi a Mandalay, fondano la loro rivista, cui si aggiunge il quotidiano l’anno dopo.

A partire dall’indipendenza e fino alla fine dei loro giorni, i Ludu saranno perseguitati per le loro posizioni radicali con arresti e ripetute chiusure forzate della loro attività. Nel breve periodo formalmente democratico del paese, U Hla viene arrestato mentre Daw Amar è all’estero e condannato a tre anni per eversione. Daw Amar, con cinque bambini piccoli, dirige il giornale. Dopo il colpo di stato del 1962, Daw Amar continua a scrivere, ma decide di cambiare temi, passa dalla politica alla cultura e alla storia pubblicando molti libri.
«Ludu Daw Amar» ha portato avanti la sua resistenza con il lavoro editoria, la scrittura, l’educazione dei figli, la sua collezione di libri. Ha perso due figli, il primo ucciso in una purga interna al Partito comunista birmano, il secondo in esilio in Cina e mai più tornato. Il figlio più piccolo, che era stato detenuto con lei e il marito per 13 mesi, è stato poi in età adulta condannato ad altri 10 anni. Una persecuzione.

«Noi vogliamo semplicemente essere trattati come esseri umani» dirà ad Anna Allott, studiosa di letteratura birmana e uno dei rari canali di comunicazione tra il paese e il resto del mondo. La principale fonte per questo articolo è proprio lei.
Profondamente umana è una delle sue ultime iniziative, la fondazione nel 1998 della Byamazo lu-hmuyay Athin, un’associazione di mutuo soccorso per aiutare chi era troppo poveri per seppellire i loro morti. Il regime militare infatti aveva reso un incubo anche l’ultimo saluto, spostando i cimiteri molto fuori dalla città di Mandalay, per abbellirla come meta turistica, ma rendendo impossibile la vita di chi vi abitava nel momento più duro di tutti.

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