La storia è maestra di vita, ma aiuta anche a capire il presente, anzi la cronaca. In un articolo sul manifesto, citando il grande libro di Vasilij Grossman su Stalingrado, ricordavo la “sorpresa” che colse l’URSS al momento dell’attacco hitleriano del giugno 1941, la stessa che ha colto oggi troppe cancellerie (e stati maggiori) davanti all’aggressione di Putin all’Ucraina.

Hitler credeva nel successo della “guerra lampo”, proprio come Putin immaginava un’avanzata travolgente in Ucraina, fino a Kiev, a destituire Zelensky e poi ancora oltre.

Dopo i gravissimi rovesci iniziali Stalin fu costretto a cambiare strategia e a dare sempre maggiore peso al generale Zukov, futuro Maresciallo dell’Unione Sovietica, teorico di una strategia opposta alla sua.

Così Putin ha dovuto cambiare il comando delle operazioni in Ucraina, tanto che la seconda ondata russa procede assai lentamente, con più attenzione alla difesa che all’attacco in profondità.

Dal canto suo l’attuale stato maggiore ucraino non fa che riprendere i moduli della scuola strategica sovietica, rielaborati appunto dopo Stalingrado, per usarli contro i russi. Anche qui la storia insegna: gli ucraini fanno coi russi, quello che i sovietici fecero con i nazisti.

Chi denazifica chi, a questo punto è da vedere. Certo fra russi e ucraini oggi i sovietici sono gli ucraini (i russi semmai sono neo-stalinisti e, dopo i deliri di Lavrov su Hitler ebreo, pure anti-semiti). La “grande guerra patriottica” dei giorni nostri è quella degli ucraini.

Ma Zukov scrive anche che nel 1943 l’esercito sovietico “ardeva dal desiderio di liberare il popolo ucraino dopo tante sofferenze dal pesante giogo degli occupanti”. Come dire: oggi l’esercito sovietico combatterebbe gli “occupanti” russi.

E non solo. Ai primi di novembre 1943 a Stalin giunse un telegramma: “Con immensa gioia comunichiamo che il compito di conquistare la nostra bellissima città di Kiev, capitale dell’Ucraina, è stato assolto dalle truppe del primo fronte ucraino. La città di Kiev è completamente liberata dagli occupanti nazisti”.

Ciascuno può fare i paragoni con l’oggi, ma Zukov scriveva: “Come brillavano gli occhi dei kieviani, vedendo non in sogno, ma nella realtà, i loro liberatori, i loro fratelli, i soldati sovietici!”. Che i kieviani e gli ucraini d’oggi vedano dei liberatori nei soldati russi non si direbbe.

Ma fa riflettere soprattutto quanto Zukov scrive sugli aiuti americani. A suo dire l’Urss riuscì a battere l’aggressione nazista grazie certo alla forza del popolo russo, ma anche all’aiuto degli alleati: “Il nostro paese si era manifestato in tutta la sua potenza. Le relazioni con gli alleati nel 1943 erano migliorate. Avevamo ricevuto dall’America materiali e attrezzature in misura alquanto superiore a quella dell’anno precedente, ma quest’aiuto era lontano da quanto era stato promesso”.

I sovietici aspettavano dunque con ansia gli aiuti militari occidentali e lamentavano semmai il rallentamento delle forniture. Stalin in una intervista alla Associated Press dell’ottobre 1942, in piena battaglia di Stalingrado, chiedeva “carri armati, cannoni anticarro, bombardieri di medie dimensioni, piastra blindata, caccia e ricognitori aerei, filo spinato”. Sembra la lista di Zelensky (gli occidentali inviarono allora oltre 14.000 aerei da combattimento, qualcosa di più di una no-fly zone).

In questi giorni abbiamo letto di molti tentativi di marcare la differenza fra gli armamenti ricevuti dalla Resistenza italiana e internazionale e quelli richiesti oggi dall’Ucraina, ma gli argomenti a sostegno sono più polemici che seri.

Zukov invece fu onesto e si domandò: “Quale funzione ebbero gli aiuti militari ed economici fornitici dai nostri alleati durante il 1941 ed il 1942?” Per rispondere che ben accetto fu “l’aiuto, tanto reclamizzato dagli alleati, che ci perveniva col sistema lend-lease, in proporzioni ben lontane da quelle promesse”.

Simone Pieranni ha giustamente ricordato sul manifesto che proprio quella legge del 1941 è stata oggi ripresa negli Usa per facilitare e velocizzare il sostegno all’Ucraina invasa. Diciamo che ciò che favoriva i sovietici, danneggia oggi i russi, ma lo strumento è lo stesso usato contro i nazisti.

C’è un passo simpatico nel grande romanzo di Grossman su Stalingrado, un generale sovietico dice ad un altro: “Amico mio, alla tattica tedesca per il momento possiamo opporre solo un russissimo ‘speriamo bene’”. Non è l’italianissimo “io speriamo che me la cavo” ma certo prova che al mondo, per fortuna, non siamo soli (a credere nella pace).