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L’ottimismo di Moderna: entro il 2030 vaccini contro i tumori

L’ottimismo di Moderna: entro il 2030 vaccini contro i tumori

Scienza L’azienda specializzata nell’mRna promette di sconfiggere malattie infettive e non

Pubblicato più di un anno faEdizione del 12 aprile 2023

Un’intervista al quotidiano inglese The Guardian da parte dei dirigenti della società farmaceutica statunitense Moderna sta accendendo speranze forse eccessive sulla possibilità di curare i tumori. «Entro la fine del decennio – si legge nel titolo – saranno pronti i vaccini contro il cancro e le malattie cardiache».

I ricercatori della società, che nel 2020 è riuscita a sviluppare un vaccino anti-Covid in meno di un anno, sono al lavoro per applicare tecnologie analoghe contro altre malattie infettive. Ma l’obiettivo a medio e lungo termine riguarda le malattie non trasmissibili, come i tumori e le cardiopatie. E l’azienda cerca investitori a colpi di promesse.

«Avremo i vaccini ad alta efficacia e questo ci farà risparmiare centinaia di migliaia, se non milioni di vite» ha detto al Guardian Paul Burton, direttore clinico dell’azienda. «Credo che saremo in grado di offrire al mondo vaccini personalizzati contro diversi tipi di tumori». Messa così, ci sarebbe da brindare. Ma un approccio più realistico suggerisce cautela.

Come hanno dimostrato nel caso del Covid-19, i ricercatori di Moderna sono tra i più bravi al mondo nello sfruttare una molecola denominata Rna per addestrare le cellule a difendersi da patogeni esterni. Una volta iniettato l’Rna nell’organismo, le cellule lo «traducono» in proteine analoghe a quelle del patogeno, stimolando il sistema immunitario a generare anticorpi specifici.

Nel caso del Covid è stato utilizzato l’Rna delle proteine del coronavirus. Ma lo stesso principio si può applicare anche contro altri virus. Moderna e altre aziende rivali hanno già in sperimentazione vaccini contro malaria, influenza, herpes zoster, il virus respiratorio sinciziale.

Anche molti tumori potrebbero essere aggrediti in questo modo. Sulle cellule cancerose sono presenti proteine che le distinguono da quelle sane ma non stimolano il sistema immunitario. Iniettando nelle cellule l’Rna corrispondente a quelle proteine, l’organismo potrebbe imparare a riconoscere le proteine patologiche e attivare le difese contro il tumore.

L’idea di sfruttare il sistema immunitario dell’individuo contro il cancro non è del tutto nuova e diverse «immunoterapie» sono già utilizzate nella pratica medica insieme o in alternativa a cure oncologiche più invasive, come la chemioterapia o la radioterapia. L’Rna però consente di standardizzare il processo e fungere da piattaforma comune per diverse patologie. In più, il know how acquisito nella lotta al Covid ha insegnato molto su come conservarlo e somministrarlo.

Nei giorni scorsi, Moderna ha annunciato che un farmaco a base di Rna si è già rivelato efficace nei test contro il melanoma, un tumore della pelle che in Italia colpisce 7.000 persone ogni anno: nei pazienti che lo hanno assunto insieme all’anticorpo Pembrolizumab, il rischio di recidiva è diminuito del 44% rispetto a chi ha assunto solo l’anticorpo.

Sono test preliminari e tutti da confermare. Ma sufficienti per concedere a Moderna una «corsia preferenziale» regolatoria sia negli Usa che in Europa verso ulteriori sperimentazioni cliniche nel 2023.

Le promesse dei dirigenti di Moderna appaiono tuttavia ottimistiche.

Innanzitutto, lo sviluppo di un farmaco è un processo che dura molti anni e spesso fallimentare. L’impresa del vaccino anti-Covid ha sfruttato condizioni irripetibili. Contro la pandemia, le aziende hanno potuto attingere a una riserva di denaro pubblico senza precedenti. Inoltre, con milioni di persone contagiate ogni giorno, per accertare l’efficacia del vaccino contro i sintomi del virus sono bastati pochi mesi.

In secondo luogo, come ha detto al Guardian l’immunologo Robin Shattock dell’Imperial College di Londra, alcuni agenti patogeni non sono caratterizzati da proteine specifiche ma da carboidrati. «Non si può usare l’Rna per codificarli», ha spiegato Shattock.

Infine, un vaccino anti-tumorale funziona in modo nettamente diverso da quello contro un virus. Per ogni malato occorre analizzare le cellule del tumore, identificarne le proteine caratteristiche, e sviluppare un farmaco personalizzato usando biotecnologie avanzate. Un processo molto diverso dalla produzione in serie di miliardi di dosi identiche da spedire in tutto il mondo.

Questo rallenterà necessariamente la sperimentazione su larga scala e, soprattutto, innalzerà i costi. Le terapie geniche più innovative, che richiedono processi simili a quello immaginato da Moderna, oggi arrivano sul mercato con prezzi superiori al milione di euro a trattamento.

A meno che lo sviluppo dei farmaci non venga sottratto al libero mercato, per i sistemi sanitari a base pubblica come il nostro garantire l’accesso dei pazienti a queste terapie non sarà facile.

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