Editoriale

L’ossimoro libico

L’ossimoro libico

Libia/Italia Come dimenticare che Obama soltanto due mesi fa, in piena apertura delle presidenziali e con parole non proprio da endorsement per Hillary Clinton, aveva dichiarato, di fronte alle nuove pressioni per entrare in guerra, che gli Stati uniti avevano fatto una «figura di merda» con la guerra in Libia del 2011

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 7 agosto 2016

Si chiama «Odissea fulminea» l’operazione militare lanciata dagli Stati uniti che avrà come punto di partenza anche la «portaerei Italia» con la base di Sigonella. Da lì partiranno intanto i droni e poi i cacciabombardieri con destinazione le roccaforti dell’Isis a Sirte, in Libia. Siamo già a quasi una settimana di raid americani partiti da basi in Giordania e da portaerei nel Mediterraneo.

Ed è già calato un discreto silenzio «olimpionico». Sarà tutto regolare dice il governo Renzi, a parlamento tacitato e ormai chiuso, per bocca dei ministri Pinotti e Gentiloni che abbondano nell’aggettivo «umanitario». Perché tutto sarebbe secondo mandato di due risoluzioni Onu che prevedevano però una nuova convocazione del Consiglio di sicurezza, e perché c’è la richiesta del «governo legittimo» di Tripoli, quello di al-Sarraj. Un governo che non è riconosciuto nemmeno in Tripolitania e la cui costituzione, sotto la dicitura «governo di accordo nazionale», è servita solo allo scopo di chiedere un intervento militare dall’esterno, per avviare la soluzione occidentale della crisi: la spartizione del grande Libia sotto sfere d’influenza per la divisione del ricco bottino che rappresenta.

Più del 38% delle risorse petrolifere dell’intera Africa e più dell’11% dei consumi europei, per un petrolio di straordinario valore. Ma di che si lamentano i pacifisti, se ancora esistono? Non si tratta forse di sconfiggere un nemico odioso e reazionario che semina morte anche nelle nostre tranquille città europee? Il fatto è che quell’odioso e diabolico nemico, l’Isis, è stato fatto uscire dall’inferno proprio dall’Occidente. Nemmeno esisterebbe infatti se le nostre guerre non avessero distrutto tre stati fondamentali per l’equilibrio del Medio Oriente, come Iraq, Libia e Siria innescando un nuovo, virulento conflitto tra sciiti e sunniti del resto mai sopito; e che non sarebbe dilagato come Stato islamico se la Coalizione degli amici della Siria (tutti i Paesi europei, gli Stati uniti, la Turchia e le petromonarchie del Golfo) non avessero foraggiato, addestrato e armato anche le milizie jihadiste che hanno provato, senza risultato ma comunque dagli esiti sanguinosi, a fare in Siria quello che erano riusciti a fare in Libia.

Con la Turchia atlantica del Sultano Erdogan, delegata a diventare santuario delle milizie jihadiste, in armi, addestramento e traffici di petrolio come testimoniato dalla poca stampa turca rimasta libera. Quando per tre anni i servizi segreti occidentali chiudevano tutti e due gli occhi di fronte al fatto che migliaia di giovani foreign fighters partivano da tutta l’Europa – tanti dai Balcani «pacificati» – e da tutto il mondo per la Jihad in Siria per affermare nel sangue che «dio è grande», ma allora il loro fondamentalismo, la loro guerra di religione non facevano tanto schifo perché funzionali alla nuova spartizione neo-imperiale del mondo. E sono gli stessi che poi hanno riportato la guerra in casa. Ora arriva l’ossimoro dell’«Odissea fulminea». Ma i tempi narrativi reali dell’Odissea omerica vengono calcolati in 10 se non venti anni. E già ammettono che 30 giorni non basteranno. Il «fulmineo» è una avventata promessa dei governi americano e in subordine italiano, con un Matteo Renzi che, è giusto riconoscerlo, sull’azzeramento dell’articolo 11 della nostra Costituzione non fa altro che proseguire la «gloriosa» tradizione di tutte le formazioni Ds, Pds, Pd che – dopo la Bolognina – si sono avvicendate fino al lui.

Ma per gli Stati uniti che significa questa nuova guerra? Come dimenticare che Obama soltanto due mesi fa, in piena apertura delle presidenziali e con parole non proprio da endorsement per Hillary Clinton, aveva dichiarato, di fronte alle nuove pressioni per entrare in guerra, che gli Stati uniti avevano fatto una «figura di merda» con la guerra in Libia del 2011 (v. l’uccisione a Bengasi l’11 settembre 2011 e dell’ambasciatore Usa Chris Stevens ad opera delle milizie islamiste che prima aveva organizzato contro Gheddafi). Ora sono pronti all’impresa omerica, che rischia la stessa «figura» ma intanto diventa viatico delle presidenziali per Hillary Clinton.

Già schierata per ogni intervento militare in Libia e non solo , come le sue allegre mail – quelle pericolose per la sicurezza americana -, hanno rivelato. Chiede l’intervento Usa il «premier» al-Sarraj, in un paese diviso e conteso tra signori della guerra, come fu per la Somalia rimasta tuttora ingovernabile dopo tanti interventi militari occidentali; e con un altro governo fino a poco fa legittimo per Usa ed Ue, quello di Tobruk che ora è duramente contrario alla richiesta di Tripoli. E come per la crisi siriana emergono le contrapposizioni internazionali di un conflitto per procura tra potenze mondiali e locali: schierate con Tobruk la Russia da una parte e la Francia – che già conta la perdita di molti militari – che punta al predominio nel Fezzan con l’obiettivo di controllare il sud di collegamento con le crisi di Mali, Ciad e Niger . E la Gran Bretagna che non nasconde, con l’Egitto dell’«emergente» golpista Al Sisi, l’obiettivo di una sua egemonia sulla Cirenaica dove già del resto opera la maggior parte delle compagnie petrolifere britanniche.

Ce lo chiede il «premier» al-Sarraj, sotto scacco delle milizie di Misurata – quelle che finora lo hanno protetto armi alla mano – che hanno avuto migliaia di perdite a Sirte; e che non a caso si è rivolto agli affidabili Stati uniti, anche perché sa che dalla lontana Washington non arriverà nessun condizionamento sulla questione dei profughi come hanno fatto finora, a parole, i Paesi europei.

Già i profughi. Da Sirte, dove la maggior parte della popolazione è da mesi in fuga, fuggiranno, è sperabile, come sono in fuga da Derna in mano qaedista e sotto i raid dell’aviazione del generale Khalifa Haftar, dopo la richiesta di corridoi umanitari avanzati perfino dall’incaricato Onu Kobler. Già, i civili che fine faranno? Quelli disperati per la nuova impresa bellica e le centinaia di migliaia rimasti intrappolati in Libia ancora per il disastro della precedente avventura occidentale del 2011 che abbatté Gheddafi solo grazie ai raid della Nato, mentre sul campo la fanteria dell’aviazione atlantica erano gli insorti, vale a dire tutte le componenti jihadiste che così abbiamo legittimato. In questa «Odissea fulminea» che fine faranno, ora che forse non potremo più nemmeno ricacciarli in Turchia che si è rivelata per quel che era nonostante i nostri costosi tentativi: un posto tutt’altro che «sicuro»? Andranno profughi per terre e per mari, senza «nostòi», cioè senza possibilità di ritorno come accade da quattro anni. Mentre i nuovi Achei si spartiscono il bottino e la loro terra.

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