Ogni cosa nella vita ha il suo tempo e, dopo quasi 14 anni, il mio ruolo di direttrice de il manifesto è concluso. E riconosco a cuor leggero che guidare un quotidiano richiede energie più fresche. Per questo nei mesi scorsi avevo annunciato alla redazione la volontà di lasciare ad altri la responsabilità primaria del giornale.

La vittoria del centrodestra alle elezioni del 25 settembre scorso ha avuto pesanti conseguenze nell’area democratica. E una sconfitta come quella subita ci riguarda da vicino. Non perché la peggiore destra di sempre è ora al governo, quanto per non aver costruito una alternativa concreta e duratura, in grado di competere.

Le forze democratiche e di sinistra non godono di buona salute – come abbiamo visto anche alle ultime votazioni locali – e noi del manifesto, che di questa sinistra siamo parte, soffriamo l’inadeguatezza del nostro campo.

La sinistra deve ritrovare il suo popolo, l’empatia verso i più deboli, verso chi dipende da un salario e deve fare i conti con un nuovo lessico dei diritti sociali e civili molto cambiato: “uguaglianza di genere” e “giustizia ambientale”, per esempio, rappresentano due macro determinazioni che ridisegnano la civiltà dei diritti di oggi e l’orizzonte del cambiamento necessario. Per fortuna interpretato dall’ingresso sulla scena del mondo di nuove generazioni globali, determinate a proseguire nella battaglia di libertà e giustizia perché, come diceva Valentino Parlato, “abbiamo cominciato nel 1789 e non abbiamo ancora finito”.

Valentino Parlato
“Abbiamo cominciato nel 1789 e non abbiamo ancora finito”

Durante la mia lunga direzione, la più duratura della nostra storia cinquantennale, è cambiato il mondo, e siamo cambiati anche noi. La tragedia, terribile, dolorosa e senza fine, di milioni di migranti, ci coinvolge e ci riguarda. Sono esplosi nazionalismi e sovranismi che hanno colpito l’Europa, e gli Usa con Trump alla Casa Bianca.

In Italia abbiamo assistito all’involuzione progressiva del Pd, da Bersani a Renzi, alla fuga degli elettori, anche dalle forze di sinistra, fino alla clamorosa e positiva svolta con la leadership di una giovane donna come Elly Schlein.

La redazione consiglia:
La metafora e la cosa

Abbiamo osservato prima il trionfo elettorale dei 5Stelle e successivamente il prosciugamento del loro consenso, seguito dall’emorragia elettorale della Lega a beneficio di Fratelli d’Italia. C’è stata, su tutto il pianeta, la tragica pandemia da Covid con milioni di morti e l’esistenza quotidiana di ciascuno di noi stravolta.

Nemmeno il tempo di respirare che dal virus prodotto dalla violenza dell’uomo contro la natura siamo passati alla violenza brutale, neocoloniale dell’invasione criminale dell’Ucraina da parte delle truppe regolari e mercenarie di Putin. Un bagno di sangue che ha costretto l’Europa e gli Usa a sostenere, anche con le armi, la resistenza di un popolo per il suo primario diritto a una speranza di futuro in un’Europa di pace.

In 14 anni abbiamo avuto due papi, uno l’opposto dell’altro, con Francesco che ha dato alla chiesa una nuova missione sociale e pacifista.

Su ogni avvenimento politico, sociale, culturale, economico abbiamo cercato di proporre una interpretazione e una lettura il più possibile complete, oltre la stretta attualità, con un punto di vista, anche se a volte non condiviso, ed è quello che vorremmo continuare a costruire ogni giorno attraverso le pagine che leggete.

Siamo un collettivo politico e siamo un’impresa cooperativa.

Come tutti sanno la crisi dell’editoria è pesante, in particolare per la sofferenza nelle edicole, dove i quotidiani arrancano. Ma gli abbonamenti, cartacei e digitali, hanno equilibrato il buon livello delle vendite complessive e continueranno a farlo, con lettrici e lettori che ci sostengono, perché ancora riconoscono in noi una voce fuori dal coro e dal circo mediatico.

Senza un simile sostegno oggi non avrei scritto questo articolo e la redazione non continuerebbe a fare il proprio lavoro.

Di solito quando si lascia un posto di responsabilità diretta, si fanno dei bilanci. Il mio lo lascio fare a voi che mi leggete, a chi prenderà il mio posto, e alla redazione tutta. Posso però dire che sono stati anni molto intensi e appassionati, difficili e facili, tristi ed entusiasmanti.

Il momento più drammatico fu quando la redazione si spaccò, avendo come seguito la mia nomina a direttrice, e l’uscita dal giornale di una parte consistente dei fondatori, Rossana Rossanda in primo luogo.

Norma Rangeri durante l'ultimo saluto a Rossana Rossanda in piazza Santi Apostoli, Roma, 24 settembre 2020, foto Fabio Frustaci /Ansa
Norma Rangeri durante l’ultimo saluto a Rossana Rossanda in piazza Santi Apostoli, Roma, 24 settembre 2020, foto Fabio Frustaci /Ansa

Essere allora dalla parte dei “vincenti” non fu per me motivo di gioia, perché sapevo che avrei perso amicizie vere, rapporti profondi non solo di lavoro, frequentazioni quotidiane con decine di anni di storia comune alle spalle. Non vedere più Valentino, ogni giorno, e altre compagne e compagni, fu per me – e immagino anche per altri – molto doloroso.

Ho sempre pensato che noi più giovani dovevamo molto a loro, madri e padri di una vicenda politica che non ha eguali nella storia italiana. Perché il manifesto, dopo oltre 50 anni, è ancora una realtà.

Non si volle riconoscere quello che alcuni di noi sostenevano: la necessità di salvare il giornale in quanto tale, di difendere la sua presenza quotidiana nelle edicole, senza trasformarlo in un foglio destinato soltanto alla riflessione.

Diventare direttrice e guidare il manifesto era motivo di orgoglio, sapevo che stavamo salvando il giornale e numerosi posti di lavoro. Sapevo che custodivamo una storia che ancora oggi vive come una delle voci della sinistra italiana, credibile e con un proprio spazio editoriale.

Ma resta in me il senso di una perdita che non si può cancellare, una ferita aperta, appena tamponata poi nel tempo da alcuni riavvicinamenti, come quelli di Rossanda e Parlato, tornati a scrivere su queste pagine.

Se ho un rammarico, è non essere riuscita a convincere tutti che il futuro del giornale era nelle nostre mani. Un obiettivo raggiunto pienamente quando fondammo la Nuova Cooperativa, che con tranquilla coscienza lascio in buona salute: il destino del manifesto adesso è davvero nostro. E di chi ci legge e ci sostiene.

La redazione consiglia:
IL NOSTRO GIORNALE

Durante la mia direzione ho cercato di essere uguale a me stessa: poco o per nulla ideologica, allergica a chi vuole “mettere le mutande al mondo”, fedele ad alcuni imperativi morali, sostenuta da una sincera curiosità.

Quello che avevo appreso da Luigi Pintor, maestro per tanti di noi, ho tentato di tradurlo nella fattura quotidiana del giornale, nella ideazione delle prime pagine che, grazie alla creatività del gruppo dirigente del manifesto, hanno fatto scuola nella carta stampata (e non solo).

Così come molto graditi e molto letti sono i nostri settimanali di approfondimento, compreso l’ultimo arrivato, il supplemento ambientalista Extraterrestre, il quarto figlio dopo gli Alias del sabato e della domenica, e il periodico di politica internazionale Le Monde Diplomatique.

C’è un aspetto degli insegnamenti di Pintor che nel corso del tempo ha prevalso sugli altri: l’autonomia di queste pagine quotidiane, pensate come forma originale della politica.

È vero che il manifesto nacque come mezzo di comunicazione del gruppo politico, e per una certa fase fu espressione dell’organizzazione. Ma essere giornale-partito era, ed è, un limite che andava superato, perché il manifesto ha sempre avuto l’ambizione di diventare una voce della sinistra plurale e quindi della più vasta area democratica. Non a caso oggi risente della impasse del mondo di riferimento, oltre che della crisi drammatica dell’editoria.

Tuttavia non per questo deve perdere la sua identità di quotidiano aperto, riflessivo, critico, non fazioso, non minoritario. Se dovesse un giorno legarsi ad un unico soggetto politico, o dismettere la missione di lavorare per l’unità del nostro mondo, distruggerebbe il proprio Dna.

Del resto per apprezzare queste pagine che, nonostante divisioni politiche e difficoltà economiche, per oltre mezzo secolo non sono mai mancate neppure per un giorno dalle edicole, basta porsi una semplice domanda, come quella che rivolse a se stesso e a tutti noi il compianto amico Alberto Asor Rosa: “Come sarebbe stato il mondo se non ci fosse stato il manifesto? E soprattutto: come sarebbe il mondo se non ci fosse il manifesto? La risposta in ambedue i casi è: peggiore, molto peggiore… e non lo dico solo pensando al manifesto storico, quello dei «Grandi Vecchi», i Pintor, le Rossande, i Parlato, le Castelline, i Magri. Ma lo dico pensando anche a tutti quelli che, in questi lunghi anni, li hanno accompagnati e seguiti, e a tutti quelli che ancora oggi lo fanno e ci rendono possibile ogni giorno leggerlo e meditarlo”.

Sopra il titolo del giornale spicca da sempre la specificazione: «quotidiano comunista». È il richiamo a una tradizione, a un passato, a una matrice culturale e a una classe, che questo gruppo non ha mai voluto né dimenticare, né tanto meno rinnegare.

Però, prima del comunismo, nell’esperienza originaria, quella marxista, c’è stata la critica: la critica della società capitalistica, la critica dell’ideologia, la critica delle forme di governo borghesi.

Poiché il comunismo non è all’ordine del giorno, il manifesto è tornato alle origini, ha riscoperto la critica dell’ideologia, ha praticato instancabilmente, la critica del potere.

Se dipendesse solo da me, sotto la testata scriverei “quotidiano del pensiero critico”. Specialmente in una fase storica in cui omologazione, sudditanza e servilismo dominano in tutti i campi. il manifesto con le sue analisi e le sue interpretazioni ci ammonisce sul fatto che non ci potranno essere né ripresa né progetto senza una buona, onesta, efficace, radicale critica dell’esistente.

È da qui che si riparte, non dalle minestre riscaldate. Aggiungo che non c’è (vera) libertà di stampa senza un autentico pensiero critico; e non c’è pensiero critico senza libertà di stampa. Questo è il primo intreccio da difendere e tutelare: a tutti i costi. Anche perché noi svolgiamo in concreto un ruolo di “servizio pubblico”. Non a caso mettiamo a disposizione di tutti l’Archivio storico.

Per tutto questo, desidero ringraziare il condirettore Tommaso Di Francesco che, con impegno e passione, mi ha affiancato nella delicata, complicata e affascinante conduzione del giornale.

E l’intera redazione che ha lavorato, e lavora, a costruire con creatività e fantasia uniche le prime pagine, un collettivo che crede nell’importanza del nostro giornale, senza avere in cambio il trattamento economico e i riconoscimenti che merita. Grazie al settore tecnico, agli amministrativi che si impegnano ogni giorno per fare arrivare il manifesto in edicola.

E un grande in bocca al lupo alla squadra del sito guidata da Matteo Bartocci, che costruisce ogni giorno la piattaforma digitale, moltiplicando la nostra community e assicurando il futuro del quotidiano con una solida presenza in rete in tutte le sue forme.

Un ringraziamento particolare a Luciana Castellina per aver sostenuto, come fondatrice di questa avventura, la nostra proposta di lavoro e per averci stimolati ad andare avanti: lei è unica, preziosa, insostituibile. Ringrazio le collaboratrici e i collaboratori che con le loro riflessioni hanno dato un incessante contributo intellettuale, politico, critico, non solo a noi ma all’intera sinistra.

E ringrazio soprattutto voi lettrici e lettori, compagne e compagni, che ci aiutate ad andare avanti, che ci appoggiate sempre nei momenti difficili, che contribuite economicamente per tenere viva la voce del manifesto. Non è retorico dire che senza il vostro appoggio il giornale sarebbe finito da tempo.

Infine, garantendo la mia solidale collaborazione, faccio i migliori auguri a chi prenderà il mio posto, assumendo una responsabilità che pesa. Con una raccomandazione/richiesta: il manifesto va maneggiato con cura, impegno, pazienza, dedizione e, in primo luogo, rispetto verso una incomparabile storia.

La redazione consiglia:
Una passione militante