Editoriale

Una scelta nella direzione giusta

Una scelta nella direzione giustaLuciana Castellina

Nuova direzione È difficile fare un quotidiano comunista, definizione che però vorrei conservaste, perché oggi comunica la cosa più urgente da ri-comunicare. Il mondo si deve e si può cambiare, ed è più divertente provarci che fare ciò che scelgono di fare quelli che optano per chiamarsi «conservatori»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 2 luglio 2023

Cari nuovi direttore e vicedirettrici,

sebbene sia annoverata al gruppetto che ebbe l’idea di dar vita al Manifesto e l’abbia poi messa in pratica pagando il prezzo della radiazione dal Pci; e sebbene abbia ormai 94 anni e scriva ancora sul giornale, sono da molto tempo solo una lettrice. E chi legge solo e non deve fare i conti con le terribili difficoltà di far uscire un quotidiano – la fatica amministrativa e quella dell’interpretare gli umori della propria area di riferimento – è, diciamo la verità, in una condizione di privilegio.

È dunque con piena consapevolezza della pesantezza del vostro lavoro che vi scrivo. E anche per questo non entrerò nel merito della dolorosa rottura che si verificò nella redazione nel 2012 e che portò alla costituzione della nuova, attuale cooperativa.

Fallita l’iniziale cooperativa, voi avete salvato il giornale. Sul quale ho ripreso a scrivere più tardi, con Valentino, presa dal distacco di molti compagni/e, a cominciare da Rossana.

Non conosco bene i dettagli della vicenda, posso solo dire che sono molto grata a Norma, a Tommaso e a tutte le compagne e i compagni che, dopo il fallimento della vecchia cooperativa iniziale, hanno salvato il manifesto, dando vita ad una nuova cooperativa che si è assunta prima i rischi dell’affitto dai liquidatori della testata, e poi è riuscita a riacquistarla.

So anche, però, di non aver, allora, più scritto per un po’ perché come potete immaginare molto addolorata del dolore che la cosa provocò in Rossana Rossanda, con la quale ho condiviso tanta parte della mia vita.

Una sorella e non solo una straordinaria compagna. Ma restai male anche per l’abbandono di tante e tanti con le/i quali avevo così a lungo lavorato, che erano dunque anche amiche/ci, mentre le/i «giovani» di oggi non li conosco quasi.

Mi sono comunque dopo un po’ impegnata a convincere i «vecchi» a tornare, inizialmente chiedendo alla direzione del giornale di accogliere i nostri scritti attraverso la pubblicazione come inserto settimanale del quotidiano di Sbilanciamoci, pubblicazione on line su cui molti di noi, in primis Rossana, scrivevano. Durò poco. perché dopo poco apparve ridicolo che io o Valentino (il primo che convinsi a rimettere la sua firma diretta sul manifesto) scrivessimo sulle stesse pagine ma per una testata diversa.

E anche per rispondere alle intelligenti pressioni in questo senso esercitate dalla direzione del giornale.

BADATE, DI TRAVAGLI interni anche gravi, il manifesto ne ha vissuti parecchi sin dall’inizio. Lo so bene perché ne sono stata anche vittima, una ferita da dimenticare.

Voglio però tornare a chiarire che la rottura che si verificò alla fine degli anni Settanta fra partito e giornale, non fu causata – come spesso è stato detto – dalla burocratica pretesa del Pdup, il partito cui tutti insieme abbiamo dato vita nel 1976 a Bologna, di trasformare il quotidiano in un bollettino di documenti burocratici. La relazione in quell’occasione fu tenuta da Rossana – e questo basterebbe a chiarire quanto stretto era il nostro rapporto.

Vorrei ricordare a tutti – ma i «giovani» forse neppure lo sanno – che con i pochi soldi che ci venivano dal gruppo parlamentare il Pdup dette vita, una volta consumata la triste separazione, a un settimanale, Pace e Guerra, che per quasi 5 anni io ho diretto assieme a Stefano Rodotà, che al Pdup non è stato mai neppure iscritto. Un prezioso punto di riferimento, certo non un bollettino, ricco di collaborazioni internazionali, negli anni difficili dell’agonia della Prima repubblica e del craxismo.

QUELLA ROTTURA fra partito e giornale aveva motivazioni di linea politica che non sto qui a ricordare, anche perché si tratta di un tempo remoto e oggi irripetibile.

Salvo per un punto di principio che tutt’ora credo vada chiarito: quando in un giornale non c’è un padrone, chi decide?

La risposta sostenuta da tutti i giornalisti è unanime: la redazione. Ecco, secondo me non è così automatico, e mi basta pensare alla rabbia di tanti nostri militanti che si chiesero, allora, se questo voleva dire che, sebbene ognuno di loro si fosse sin dall’inizio impegnato a raccogliere i soldi per avviare l’impresa, poi a diffondere il quotidiano e sostenerlo in ogni modo, a fissarne la linea, potessero esser alla fine autorizzati solo quelli iscritti all’Ordine dei giornalisti!

È UNA QUESTIONE difficile, certo, perché padrone non deve neppure essere un partito, ma proprio questa deve – io credo – essere l’originale capacità di una cooperativa senza fini di lucro come è il manifesto: trovare le forme affinché un’area di lettori affini trovi il modo di sentirsi parte dell’impresa.

Badate, non penso, né a ricostruire un partito, per carità, ma nemmeno a dare poteri ai circoli che per una fase si organizzarono dopo il 2012.

Né penso a qualche altro organismo ufficiale che finirebbe per esser composto da vecchi senatori. La partecipazione che serve non può del resto esser riservata solo ai collaboratori, deve essere il frutto di una costante interlocuzione fra la redazione e chi opera invece nelle organizzazioni vive della sinistra: la Cgil ma anche la Caritas, l’Arci o Legambiente, Non una di meno, i Friday For Future, Slow Food, le reti degli studenti,.. Ma anche con alcune persone da consultare, i vari esponenti della sinistra, …Non per prendere la linea, ma per ascoltare le loro ragioni, interloquire con i loro punti di vista.

Ho qualche volta assistito alle riunioni di redazione di Repubblica dei primi tempi e ho sempre ammirato Scalfari che al mattino riuniva tutti i redattori, e poi cominciava, davanti a loro, a telefonare a un sacco di persone per sapere cosa pensavano dell’accaduto della giornata, sì da nutrire la redazione con informazioni e pareri che le facevano capire meglio come era fatto il mondo.


CERTO CHE I PARERI si possono ricevere ampliando la rete dei collaboratori, ma questo rischia di ridurla agli amici tradizionali, è difficile interloquire con quelli che del manifesto non hanno neppure il numero del telefono. I più giovani, in generale.

È perché la sinistra è oramai un paesaggio confuso e parcellizzato – lo capisco – che quanto era naturale un tempo non lo è più oggigiorno.

Una cooperativa come è “il manifesto quotidiano comunista” deve avere la capacità di trovare le forme affinché un’area di lettori affini trovi il modo di sentirsi parte dell’impresa

Ecco, questo è quanto consiglio con piena fiducia nel nuovo direttore Andrea Fabozzi e nelle nuove vice direttrici Micaela Bongi e Chiara Cruciati che approdano alla responsabilità del giornale – grazie a chi ha saputo conservarlo – in un mondo parecchio più complicato del nostro ’68.

INSOMMA RAGAZZI – oltretutto anche voi avete ormai una certa età! – è difficile fare un quotidiano comunista, definizione che però vorrei conservaste, perché oggi comunica la cosa più urgente da ri-comunicare dopo che il mondo anglosassone ci ha colonizzato con il suo TINA (there is no alternative): e cioè che il mondo si deve e si può cambiare, ed è più divertente provarci che fare ciò che scelgono di fare quelli che optano per chiamarsi «conservatori». (Mi piacerebbe tanto chiedere a Giorgia Meloni cosa davvero vuole conservare!).

Certo che deve essere anche il riferimento di un pensiero critico, come suggerisce Tonino Perna, ma proprio lui, per via del suo costante impegno, sa bene che questo non basta se non è accompagnato dalla volontà di costruire un progetto.

Un ultimo consiglio: quando ci azzardammo ad imboccare l’avventura del manifesto pensammo a una rivista, non a fare un partito. E però cominciarono subito – eravamo in pieno Sessantotto – a sorgere spontaneamente in tutta Italia i «collettivi del manifesto». Che non avevano nessuna intenzione di diventare solo lettori, volevano fare.

E allora noi ci guardammo negli occhi e ci dicemmo: e mica vorremmo essere quelli che scrivono mentre gli altri fanno?

Mica vorremmo essere quelli che scrivono mentre gli altri fanno?Luciana Castellina

Se andate a leggere l’articolo che Luigi Pintor scrisse sulla rivista annunciando il quotidiano troverete la risposta che poi ha ispirato il giornale: non vogliamo essere solo giornalisti, intellettuali che non stanno al fronte.

Certo, non si può fare a meno di una certa divisione sociale del lavoro, ma credo che conservare quello spirito sia tutt’ora la cosa più importante.

E ADESSO UN DESIDERIO: aver cura della memoria. Lo so che alla memoria ci tengono soprattutto i vecchi come me, ma serve molto anche alle nuove generazioni, non per opprimerli con vetuste teorie, ma come momento di una riflessione non astratta.

Nel suo scritto Tommaso – ed è naturale che sia proprio lui che ha vissuto attivamente non solo come giornalista questo mezzo secolo della nostra vita – ha suggerito di attivare iniziative che aiutino a rendere viva la memoria de il manifesto, che non è solo accudire all’archivio ma impegnarsi ad animare la riflessione di oggi. Questo desiderio, che credo non sia solo mio, lo consegno ad Andrea.

Vorrei anche che Norma – che è ancora giovane – ci aiutasse con la sua esperienza anche in tutte le nuove iniziative digitali che le compagne e i compagni della redazione online ci propongono ogni giorno.

Ovviamente, ma non sul digitale per cui non ho più l‘età, se la nuova direzione lo vorrà, sono disponibile a dare una mano anche io (non ti spaventare Andrea, solo una mano discreta).

Non ho diritto di voto, ma ti – e vi, includo le tue vice – avrei votato.

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