Dopo la squalifica di migliaia di riformisti e probabili oppositori, l’esito delle elezioni in Iran sembra scontato. Di conseguenza, il tasso di affluenza alle urne si è trasformato in una sfida per la legittimità dello stato. Ne abbiamo parlato con l’avvocata iraniana Nilufar H. (nome di fantasia per tutelare la sua incolumità).

Nonostante tutti i problemi che ha avuto con il sistema, lei continua a lottare per i diritti delle donne, assistendo legalmente quelle in difficoltà. In vista delle elezioni, nelle ultime settimane, abbiamo visto attivarsi sui social media sia i sostenitori che i detrattori del regime. Ma cosa succede invece tra la gente comune nelle città iraniane?

Le elezioni di quest’anno si avvicinano in un’atmosfera di diffusa apatia, con un interesse minimo da parte dell’opinione pubblica. Credo che saranno le più tranquille della storia recente. Il disinteresse è palpabile tra la gente, con più della metà che sembra non essere nemmeno a conoscenza della data. Un sondaggio condotto dall’emittente statale Irib indica che solo il 48% della popolazione sa quando si vota.

Da dove nasce questo disinteresse? Considerando che si svolgeranno anche le elezioni dell’Assemblea degli Esperti, che in caso della morte dell’attuale leader, (Khamenei, di 84 anni), nei prossimi 8 anni dovrà scegliere un sostituto e di fatto traccerà il futuro del paese.

Una diffusa insoddisfazione, accompagnata da problemi economici, sociali, ambientali e altro, avvolge la maggioranza della società. Il principale motivo di questa situazione è una profonda disillusione nei confronti del sistema politico e la convinzione che nulla possa cambiare attraverso le elezioni. Il voto è importante quando la scelta dei rappresentanti può fare la differenza. Ma tutti i candidati hanno la stessa visione politica, e  coloro che si distinguevano sono già stati squalificati nella prima fase.

È sorprendente notare che l’ex presidente Rouhani e Mahmoud Alavi, ex ministro dell’intelligence, siano stati squalificati e che solo una persona proveniente dalla loro area politica sia stata autorizzata a partecipare alle elezioni. L’orientamento all’interno del sistema è preordinato e blindato, il che ha inevitabilmente portato a una monotonia in termini di posizione politica e ideologica. Ciò che rimane è solo una forte competizione tra i conservatori per acquisire il potere. Ecco perché molti si chiedono se vale davvero la pena esercitare il proprio diritto di voto, dato che sembra che non abbia la possibilità di portare a un reale cambiamento.

Si leggono molte dichiarazioni che chiedono il boicottaggio delle elezioni, cosa ne pensa?

C’è una questione di disobbedienza sociale e morale che porta alcune persone non solo a non partecipare, ma anche a boicottare le elezioni. Sto parlando di individui all’interno del Paese che subiscono personalmente le conseguenze delle proprie scelte e non prendo in considerazione dichiarazioni strampalate di organizzazioni iraniane di opposizione all’estero. Chiunque boicotti pubblicamente le elezioni viene non solo etichettato come traditore e infedele, ma anche perseguito legalmente. Figure come Mostafa Tajzadeh, (politico riformista attualmente detenuto, ndr), Abolfazl Qadiani, (attivista politico anch’egli attualmente in carcere), e Narges Mohammadi, (vincitrice del Premio Nobel per la Pace attualmente detenuta), hanno chiesto un boicottaggio politico e morale motivato da ragionamenti convincenti. Queste prese di posizione hanno un impatto nei settori accademici, giudiziari e politici del paese. Anche il Fronte per le Riforme ha annunciato che non sostiene nessun candidato. Ovviamente, ciò non implica un boicottaggio delle elezioni, ma se comunicano ai loro sostenitori che non ci sono le condizioni per raccomandare chi votare, il messaggio è chiaro.

Si potrebbe affermare che le elezioni si prospettano come un test critico per la Repubblica Islamica, poiché la sua legittimità è in discussione?

Una bassissima affluenza alle urne, anche se i dati possono essere manipolati, può favorire l’opposizione e dare fiato alle voci critiche. Tuttavia, la questione della legittimità è differente: quando uno stato uccide 500 persone e ne arresta altre 20.000 solo perché manifestano (riferimento ai disordini dell’anno scorso, ndr) e non riconosce nessun diritto al pensiero diverso dal proprio, non ha bisogno di legittimazione. La ricerca di una grande affluenza è solo uno strumento politico a uso e consumo della politica estera.  All’interno del Paese, invece, è evidente che il potere politico non tiene conto dell’opinione pubblica. L’anno scorso non ha concesso l’autorizzazione per un referendum sul copricapo islamico per le donne, che avrebbe evitato il sacrificio di 500 giovani e giovanissimi. Malgrado la Costituzione riconosca il diritto alle manifestazioni, nessuna formazione politica è finora riuscita ad ottenere il permesso. I nostri leader credono che il loro potere sia conferito direttamente da Dio e che ci devono portare tutti in paradiso.