L’Alto Commissariato Onu per i diritti umani chiede all’Italia di «garantire che le condizioni di detenzione del signor Cospito siano in accordo con gli standard internazionali» e in particolare con due articoli del Patto internazionale sui diritti civili e politici: il 7 (divieto di tortura e trattamenti o punizioni disumane e degradanti e divieto di sottoposizione, senza libero consenso, a sperimentazioni mediche o scientifiche) e il 10 (umanità di trattamento e rispetto della dignità umana in ogni persona privata della libertà personale). Questo in attesa di un pronunciamento nel merito della vicenda di Alfredo Cospito, detenuto al 41bis da 303 giorni e in sciopero della fame da 135.

La lettera è di mercoledì, ma, hanno detto ieri l’avvocato Flavio Rossi Albertini e Luigi Manconi dell’associazione A buon diritto: «Lo Stato italiano deve, nel rispetto dei propri obblighi internazionali, dare esecuzione a tale misura provvisoria. Rappresenterebbe un grave precedente se la decisione adottata dal Comitato rimanesse lettera morta, se l’Italia emulasse l’indifferenza dimostrata per l’Onu dai regimi autocratici». La risposta del ministro della Giustizia Carlo Nordio non si è fatta attendere: «L’Italia fornirà all’Onu le informazioni richieste».

OGGI A TORINO gli anarchici torneranno in piazza in sostegno di Cospito: l’allerta è alta e ci si attende un imponente dispiegamento di polizia ad accompagnare il corteo. Sempre sul fronte investigativo, nella giornata di ieri sono state effettuate delle perquisizioni sia a Roma sia a Foligno, in Umbria, per le manifestazioni non autorizzate dello scorso novembre nei pressi del teatro Argentina e alla sede Rai di via Romagnoli. A Barcellona, invece, è stato rimesso in libertà il 32enne accusato di aver imbrattato il consolato italiano lo scorso gennaio.

Cospito, intanto, è tornato a far sentire la sua voce attraverso una lettera dello scorso gennaio, poi consegnata al suo legale. Si tratta di parole scritte prima del ricovero in ospedale (dal quale ha già fatto ritorno in carcere) e degli ultimi sviluppi giudiziari della sua vicenda. «Sono pronto a morire per far conoscere al mondo cosa è veramente il 41bis – scrive -. Ora tocca a me, prima mi avete mostrificato come il terrorista sanguinario, poi mi avete santificato come l’anarchico martire che si sacrifica per gli altri, adesso mostrificato di nuovo. Quando tutto sarà finito, non ho dubbi, sarò portato all’altare del martirio. Grazie, non ci sto. Ai vostri sporchi giochi politici non mi presto».

PER COSPITO, in ogni caso, la sua morte sarebbe «un intoppo a questo regime» e auspica che «i 750 che subiscono il 41bis da decenni possano vivere una vita degna di essere vissuta, qualunque cosa abbiano fatto».

Questa lettera è stata portata in Senato da Rossi Albertini, che ne ha sottolineato il passaggio in cui si respinge l’accusa di essere a capo di una qualche organizzazione: «Il più grande insulto per un anarchico è di essere accusato di dare o ricevere ordini. Quando ero al regime di alta sorveglianza avevo comunque la censura e non ho mai spedito pizzini ma articoli per riviste».

NEI SUOI LIBRI, nei suoi articoli e nelle sue lettere – tutto materiale di facile reperibilità – Cospito ha sempre mostrato una profonda avversione verso le pratiche assembleari e collettive, una posizione, sempre rivendicata negli anni, di individualismo quasi ottocentesco.

Sulle sue azioni, infine, l’anarchico tira dritto: nessun rimorso. «Le ho sempre rivendicate con orgoglio (anche nei tribunali, per questo mi trovo qui) e mai ho criticato quelle degli altri compagni, tantomeno in una situazione come quella in cui mi trovo. Non mi sono mai associato ad alcuno, e quindi non posso dissociarmi da alcuno. L’affinità è un’altra cosa».

GIÀ CONDANNATO per la gambizzazione dell’Ad di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, avvenuta nel 2012, attualmente Cospito aspetta il verdetto della Corte costituzionale sull’altra condanna, quella per gli ordigni piazzati una notte di giugno del 2006 davanti a una caserma in provincia di Cuneo, evento che non ha causato morti né feriti. In base alla decisione della Consulta, la condanna sarà compresa tra i vent’anni e l’ergastolo.