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L’one man show di Conte: «Giorgia tradisce il popolo»

L’one man show di Conte: «Giorgia tradisce il popolo»Un momento dello spettacolo di Giuseppe Conte a Roma, al teatro Brancaccio – LaPresse

Il tour del leader nei teatri si chiude a Roma. Incognita astensione sul voto per il M5S

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 7 giugno 2024

«Tra poco inizia ‘lo spettacolo’». Lo chiamano proprio così, lo spettacolo, il monologo che Giuseppe Conte ha messo in scena in teatri e sale cinematografiche in giro per l’Italia nel corso di questa campagna elettorale per le europee. L’altra sera, sulle assi del palco del Brancaccio di Roma che nel luglio di ottant’anni ospitò il primo discorso pubblico nella capitale liberata di Palmiro Togliatti e che dopo anni di decadenza fu riaperto da Gigi Proietti, che ne è stato anche direttore artistico a lungo, c’erano quasi 1200 persone tra cronisti, parlamentari, l’onnipresente (e numeroso) staff dei comunicatori, candidati, vecchie glorie come Vito Crimi, attivisti e fan dell’avvocato. Non è proprio un sold out (anche se l’ingresso è libero, basta prenotare) ma è sempre un discreto successo.

«IL PRESIDENTE non esclude le piazze e gli incontri per strada», mettono le mani avanti i suoi. Tuttavia, ha scelto la formula dello spettacolo e balza agli occhi la scelta di trasformare la campagna elettorale in un vero e proprio one man show. Soprattutto perché questa forza politica, sembra passato un secolo ma sono poco più di dieci anni, è nata proprio sotto i riflettori dello spettacolo e dai monologhi di un attore. Il Grillo delle origini si divertiva a prendere in giro i suoi candidati. «Dite che siamo violenti, questo il massimo della violenza che fa è che si ammazza di seghe» diceva indicando uno spaurito aspirante sindaco del nascente M5S. La cosa funzionava perché da deus ex machina, il personaggio famoso che fa da testimonial alla missione impossibile, metteva i candidati impacciati al livello della gente comune, li faceva scendere dalla scena che doveva essere occupata solo dal fondatore e dalla presenza panottica, invisibile e quindi potenzialmente ubiqua, del guru telematico Gianroberto Casaleggio. Con Conte non può che essere diverso. Il mattatore gioca da ex presidente del consiglio, racconta con malcelata nostalgia di quando stava nei giri importanti: «Sentite me, che ai grandi tavoli internazionali ci sono stato». Ogni volta che parla di un candidato invita all’applauso e quando evoca il lavoro fatto dagli europarlamentari uscenti (molti dei quali destinati alle loro vite normali per via della tagliola dei due mandati, unico principio delle origini rimasto in vigore) gli rende omaggio con una formula ricorrente ex articolo 54 della Costituzione, un refrain scandito con enfasi e mano sul cuore: «Onore e disciplina».

SÌ, MA QUANTO vi aspettate? Il testa a testa col Pd pare accantonato, per adesso. Alle scorse europee, quando il M5S era al governo con la Lega si arrivò a superare di poco il 17%. In molti saluterebbero con soddisfazione un bis del 15% delle politiche. L’inner circle di Conte si rifiuta di piazzare asticelle e pronosticare risultati. Dicono che c’è una variabile imprevedibile, che vale per tutti ma che investe particolarmente il potenziale elettorato pentastellato: l’astensione. Gli occhi sono puntati soprattutto al sud, storico serbatoio di voti del M5S. Questa volta la gente potrebbe rimanere a casa oppure, in una certa misura relativa ma non indifferente, essere attratta dalle sirene di un altro personaggio a suo agio sotto i riflettori come Michele Santoro: i sondaggi dicono che la sua Pace, Terra e Dignità pesca più tra i 5 Stelle che a sinistra. A Campo Marzio l’hanno capito per tempo e hanno messo il simbolo arcobaleno della pace nel marchio elettorale.

L’ALTRA VARIABILE è il voto di preferenza, storicamente non congeniale al M5S. Conte nel suo spettacolo cerca di porre rimedio associando a ognuno dei macro-temi che scandiscono la narrazione un candidato testa di serie.Il filo conduttore è il fallimento del governo Meloni, falsa interprete delle esigenze del «popolo» (il significante vuoto che è terra di contesa). Si parte con la guerra, le speranze disattese di vittoria dell’Ucraina e la corsa agli armamenti e tira in ballo Ugo Biggeri, tra i fondatori di Banca etica e tra gli artefici della legge sul controllo del commercio di armi. Poi mette in scena le contraddizioni sul piano sociale di Meloni e del suo governo, proponendo un «reddito europeo di cittadinanza» e chiama in causa l’ex presidente Inps Pasquale Tridico. Quando passa alla corruzione menziona Giuseppe Antoci, presidente della Fondazione Caponnetto. Basterà, questo endorsement del leader per valorizzare i singoli profili e massimizzare il voto di preferenza? Questa è la scommessa di Conte, che oggi chiude la campagna elettorale a Palermo (a proposito della caccia al voto del Mezzogiorno) e che ha scelto di metterci la faccia (da non candidato) per imprimere ulteriormente il suo marchio sul nuovo corso del Movimento 5 Stelle. Ecco perché, è su di lui, l’attore unico dello spettacolo elettorale a 5 Stelle, che ricadranno gioie e dolori delle urne europee.

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