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L’omaggio alla ribellione iraniana consoliderà le sue pratiche

Settembre 2022, le piazze delle donne in Iran foto ApOttobre 2022, le piazze delle donne iraniane – Ap

Iran Il Nobel a Mohammadi, simbolo degli sviluppi non lineari della vita politica iraniana e della rabbia verso la violenza di stato. Se la diaspora amplifica il messaggio che arriva dall’interno, fare troppo affidamento su di essa può rendere invisibile chi sta dentro il paese

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 7 ottobre 2023

A un anno dallo scoppio della sollevazione Donna Vita Libertà, non abbiamo assistito al collasso dello stato né a una riforma progressista della legge sul velo obbligatorio. Ma è difficile negare che oggi, in Iran, chi fa politica sono soprattutto le donne e le loro rivendicazioni femministe e di liberazione.

Oggi, il volto della politica è quello di Narges Mohammadi, a cui è stato conferito il Premio Nobel per la Pace. Vent’anni fa, nel 2003, lo stesso premio veniva assegnato a un’altra iraniana, un’altra avvocata con cui Mohammadi ha per anni lavorato, Shirin Ebadi; e nelle scorse settimane, il volto di un’altra iraniana ha popolato i network di informazione di tutto il mondo, quello della sedicenne Armita Geravand, in coma, così pare, in seguito a un confronto con un’agente della polizia morale che le avrebbe intimato di coprirsi i capelli.

DUE DONNE, Mohammadi e Geravand, diverse e distanti per età e formazione, che ugualmente, però, sono simboli degli sviluppi non-lineari della vita politica iraniana, oggi come oggi caratterizzata da un risentimento fortissimo nei confronti dello stato.

Poco più di un anno fa, la morte di Mahsa Jina Amini portava centinaia di migliaia di persone nelle piazze. La repressione è oggi così forte che difficilmente una simile situazione si riprodurrà. Tuttavia, non è una coincidenza che luoghi come le scuole superiori femminili, soprattutto quelle nel Kurdistan e nel Baluchistan iraniani, e reti di attiviste femministe siano state prese di mira in queste settimane: tra l’anniversario della morte di Amini e il caso di Geravand, che è una evidente dimostrazione di come siano in tante a continuare a disobbedire all’obbligo del velo, lo stato sente la pressione del risentimento popolare contro di esso. E reagisce con la forza e la violenza.

Quale significato ha, in questo contesto, il conferimento del Premio Nobel a Mohammadi?

Mentre è probabile che lo stato iraniano reagirà negativamente, come fece vent’anni fa, vedendo un tale riconoscimento dato a una persona considerata un modello dannoso di cittadinanza, in molti sperano che il premio avrà un effetto positivo sul caso giudiziario di Mohammadi. Questa ha negli ultimi vent’anni vissuto dentro e fuori il carcere, comunicando con il mondo esterno attraverso telefonate e lettere sempre controllate e dovendo superare la censura e il vaglio dell’autorità carceraria.

NEL CORSO degli ultimi due decenni, il lavoro di Mohammadi ha soprattutto avuto lo scopo di documentare la violenza dello stato e della condizione carceraria, come riportato nel suo libro Shekanje sefid (Tortura bianca), nel quale dettaglia e analizza le tecniche di tortura e violenza usate dallo stato contro le donne nelle prigioni.

Non si tratta solo di un lavoro di testimonianza, poiché Mohammadi nelle pagine del suo libro riflette anche sulla natura della violenza dello stato e sul diritto alla violenza che questo esercita. In molti sperano che il Nobel metterà pressione sui giudici iraniani, facilitando una possibile scarcerazione di Mohammadi o almeno una stabilizzazione della sua situazione, che è attualmente in continua evoluzione tra permessi temporanei, scarcerazioni e ri-incarcerazioni. Non solo.

Nell’assegnarle il Nobel, il comitato ha esplicitamente voluto segnalare alla popolazione iraniana che la comunità internazionale è attenta e vigile, pur con tutti i limiti e le contraddizioni che tale attenzione ha – limiti e contraddizioni di cui gli iraniani sono ben consapevoli.

Infatti, sono in tantissimi a festeggiare la decisione del comitato per il Nobel, ma in altrettanti sanno che questa difficilmente si trasformerà in azioni di sostegno coerenti e radicali verso il movimento popolare che oggi chiamiamo «Donna Vita Libertà». Tra le attiviste e gli attivisti c’è oggi una crescente consapevolezza del ruolo ambiguo che le diaspore e la comunità internazionale possono giocare.

SE DA UN LATO queste servono a moltiplicare e amplificare il messaggio che dall’interno dell’Iran arriva, fare troppo affidamento su di esse può avere la conseguenza di rendere invisibile chi sta dentro il paese, con il risultato che a diventare protagonisti sono le diaspore e le politiche estere degli stati-nazione, invece dei movimenti che sono in prima linea contro la violenza dello stato.

Ed è forse questo l’effetto più importante che il Nobel avrà. Servirà soprattutto a «puntellare» e consolidare la trasmissione di pratiche, attitudini e idee di ribellione dentro il paese, indipendentemente da quello che la comunità internazionale deciderà di fare, o di non fare.

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