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L’Occidente lascia fare in attesa del «nuovo ordine»

Benjamin Netanyahu alla Casa bianca foto Ap/Julia NikhinsonBenjamin Netanyahu alla Casa bianca – foto Ap/Julia Nikhinson

Opinioni La presenza dell’Onu nel sud del Libano è un ostacolo e sarà rimosso. Si prepara un’altra umiliazione del diritto internazionale. Questa volta dipinta di blu

Pubblicato circa un mese faEdizione del 12 ottobre 2024

Lungo la Blue Line, la linea di demarcazione che separa il Libano da Israele, oltre 120 chilometri, stabilita dalle Nazioni Unite nel 2000, sono piantati e ben riconoscibili i caratteristici «blue pillars», i pioli di acciaio opportunamente verniciati di blu. Israele, colpendo ogni giorno i caschi blu, come è avvenuto anche ieri, è chiaramente intenzionata a sradicarli. Nella sua guerra di annientamento di Hezbollah e del Libano, Netanyahu non vuole, come a Gaza, testimoni internazionali.

E neppure l’ombra del diritto internazionale o di una mediazione diplomatica, come hanno compreso perfettamente le famiglie degli ostaggi. La sua logica è ferrea e cinica: se sacrifico anche la mia gente, figuriamoci se mi faccio problemi a sparare sui caschi blu.

Il governo israeliano, imponendo con la forza al contingente militare di quaranta nazioni, tra cui la nostra, di levare le tende, non solo non intende avere testimoni ma ci dice anche di voltare la testa dall’altra parte per non vedere quanto accade in Medio oriente. E tutto questo in attesa di valutare la rappresaglia israeliana sull’Iran. In realtà l’Italia e l’Europa – per non parlare degli Stati uniti – hanno già girato lo sguardo accettando che in questo anno ci fossero decine di migliaia di civili uccisi, che venissero costantemente violate tutte le leggi umanitarie e fossero commessi crimini di guerra inenarrabili. Tutto questo senza muovere un dito.

LA CONDANNA della comunità internazionale si limita a qualche voto all’Onu e alle indagini della corte penale internazionale: in pratica per il governo Netanyahu non c’è mai nessuna conseguenza degna di nota. Anzi. Israele continua a ricevere dagli Usa decine di miliardi di aiuti militari (oltre venti nell’ultima tranche di fine agosto) e la collaborazione militare e di intelligence degli europei con lo stato ebraico prosegue senza colpo ferire. Business as usual.

L’Italia è un formidabile esempio della doppiezza europea e occidentale. Il ministro della Difesa Crosetto ha tuonato contro Israele per l’attacco all’Unifil ma è anche lo stesso ministro che l’8 novembre è andato a Gerusalemme per dire che «Israele è uno Stato di diritto e in guerra si muove rispettando delle regole, questa è la differenza con i terroristi di Hamas». Non solo, aggiunse in quell’occasione che «Israele ogni volta che bombarda a Gaza avverte la popolazione di mettersi in salvo». Come no, anzi suona direttamente al citofono dei gazawi, ai quali per altro è rimasto in piedi meno del 30% degli edifici e il 70% è accampato ad aspettare un altro inverno di bombe.

Ma perché diciamo queste cose che sono palesemente delle bugie? Il motivo è semplice: siamo legati a Israele mani e piedi. L’8 marzo del 2023, durante la visita di Netanyahu a Roma, questo governo ha firmato un accordo per appaltare una parte consistente della nostra cybersecurity agli israeliani in cambio di commesse militari. Allora il capo dell’agenzia italiana si dimise due giorni prima di questa intesa perché evidentemente non era d’accordo.

In poche parole Israele, che detiene una quota formidabile del mercato mondiale della cybersecurity, ci osserva e ci scruta come e quando vuole, in questo agevolata anche dall’alleanza inossidabile con gli Stati uniti. I nostri sovranisti – sempre pronti a difendere la patria – farebbero bene a dare un’occhiata a questi accordi.

LA REALTÀ è che non facendo nulla per frenare Netanyahu siamo d’accordo con la guerra di Israele. In attesa, come scriveva ieri Tommaso Di Francesco, che il governo di Tel Aviv imponga a cannonate il “nuovo ordine” mediorientale, visto che i tentativi occidentali di imporne uno sono naufragati miseramente, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria. Per di più Israele punta al bersaglio grosso dell’Iran per tentarne la destabilizzazione usando non solo le bombe ma forse la sua carta migliore, quella dell’infiltrazione del Mossad nei ranghi della repubblica islamica, come sembra voler dimostrare la controversa vicenda di Esmail Qaani, capo delle brigate Al Qods dei Pasdaran messo agli arresti, un segnale comunque della lotta interna di potere in atto Teheran.

Gli occidentali non sono certo gli unici ad attendere che Israele imponga il suo “ordine”. Non c’è nessuno stato arabo che nei fatti sostenga la causa palestinese o degli Hezbollah libanesi. Le monarchie sunnite e assolutistiche del Golfo, l’Arabia saudita, il Marocco e l’Egitto si sono tutti avvicinati a Israele e se anche alcuni di loro non hanno ancora firmato il Patto di Abramo si comportano come se l’avessero già fatto. Lo stesso Erdogan che lancia roboanti proclami contro lo stato ebraico e a favore di Hamas non ha mai fermato le vendite di armi turche a Israele.

Cosa accadrà adesso nel Sud del Libano? Di fatto Israele punta a cancellare la Blu Line per allontanare l’artiglieria di Hezbollah e riportare migliaia di israeliani nei villaggi dell’Alta Galilea. La presenza di caschi blu ostacola la creazione di una nuova “fascia di sicurezza”, così come Israele punta a Gaza al logoramento dei palestinesi per spingerli in spazi sempre più ristretti e invivibili.

Tutto questo avverrà, nonostante i proclami, con l’eliminazione dei caschi blu e delle agenzie dell’Onu. Per noi qui sarà soltanto un’altra umiliazione del diritto internazionale. Questa volta dipinta di blu.

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