Lo strano caso di Trapani: trionfa il No-quorum, città commissariata
Sicilia Deserto di leader intorno all'unico candidato sindaco rimasto, ed è sciopero del voto (al 74%) nella terra di Messina Denaro
Sicilia Deserto di leader intorno all'unico candidato sindaco rimasto, ed è sciopero del voto (al 74%) nella terra di Messina Denaro
A Trapani la colonnina sfiora i 40 gradi, per le strade c’è poca gente. Il municipio è deserto, pochi hanno voglia di parlare del disastro elettorale. Mentre gli operai smontano tavoli e cavi nel suo desolato comitato, Piero Savona, spara le ultime cartucce analizzando le ragioni del flop davanti a telecamere e taccuini prima che i riflettori si spengano su di lui e sulla città, rimasta senza sindaco.
Ben il 74% degli elettori ha preferito andare al mare o rimanere in casa piuttosto che recarsi alle urne per il ballottaggio, facendo saltare il quorum del 50%, la soglia utile perché il secondo turno fosse valido, in base a quanto prevede la legge in Sicilia. E Savona, l’unico in corsa contro il «quorum», avrebbe dovuto ottenere almeno il 25% delle preferenze, circa 15 mila voti. «Era una missione impossibile», dice. Sperava in un supporto maggiore dai partiti, confidava soprattutto in Renzi. E invece nulla.
«Il Pd e il centrosinistra hanno fatto poco affinché il caso Trapani assumesse un valore nazionale» perché «questa è la terra del super latitante Matteo Messina Denaro e due dei miei avversari (Antonio D’Alì di Fi e Mimmo Fazio di centrodestra) avevano problemi giudiziari abbastanza seri». «Confidavo – ammette – in un’azione più incisiva contro il cartello dell’astensionismo, che vedeva insieme Forza Italia e M5s con Beppe Grillo che ha invitato i cittadini a non votare».
L’appello di Savona è caduto nel vuoto, mentre attorno a lui, a ridosso del turno di ballottaggio, i partiti sparivano: alla fine solo il 26,75% s’è recato alle urne e ben l’8,49% dei voti espressi nelle cabine sono stati considerati non validi. Mentre quei pochi big che si sono spesi – Delrio, Martina, Serracchiani – lo hanno fatto con video-appelli pubblicati dal sottosegretario Davide Faraone sulla sua pagina Fb. Un po’ pochino.
«Io ce l’ho messa tutta, ma non potevo certo fare apparentamenti al ballottaggio col senatore D’Alì, perché se fossi stato eletto e la sua situazione giudiziaria si fosse aggravata mi sarei dovuto dimettere da sindaco», si sfoga Savona. Dalla Dda di Palermo il senatore di Forza Italia è ritenuto «un soggetto socialmente pericoloso» e ha avanzato la richiesta di divieto di dimora su cui il Tribunale di Trapani deciderà a luglio.
Pur di non avvantaggiare il parlamentare, Fazio, un tempo suo alleato e giunto al ballottaggio con Savona, aveva scelto la strada della decadenza: non depositando la lista degli assessori designati invece di dimettersi all’ufficio elettorale subito dopo il primo turno, cosa che avrebbe consentito a D’Alì di subentrare, essendo giunto terzo.
Oggi la commissione elettorale dovrebbe formalizzare il risultato elettorale e trasmettere gli atti alla Regione per il decreto di nomina del commissario che guiderà il comune fino alla prima tornata utile per nuove elezioni, nel 2018: si fa il nome dell’ex procuratore di Palermo Francesco Messineo, che aveva svolto il medesimo ruolo a Castelvetrano (Tp), il paese di Messina Denaro, prima dello scioglimento per infiltrazioni mafiose.
Smentendo il suo assessore agli Enti locali, secondo cui la mancata elezione del sindaco comporta l’impossibilità ai consiglieri eletti di insediarsi, il governatore della Sicilia Rosario Crocetta ritiene che la norma non sia così chiara e auspica il «salvataggio» del nuovo Consiglio comunale. «Non esistono organi politici che possano interpretare la norma, chi lo ha fatto si è avventurato troppo oltre le competenze, ma – sostiene – l’unico organismo che può decidere è la commissione elettorale e in caso di mancata decisione i tribunali amministrativi».
A gettare legna sul fuoco del caos Trapani, ci pensa Vito Damiano, sindaco uscente, ex generale dei carabinieri che cinque anni fa conquistò il comune grazie al sostegno del duo D’Alì-Fazio, allora colleghi nel Pdl poi separatisi. «In questi cinque anni di mandato ho avuto condizionamenti, dall’esterno del palazzo ma soprattutto dall’interno», accusa.
Pressioni politiche o mafiose? «Condizionamenti, non dico altro». Parole che per Piero Savona potrebbero aprire nuovi e sconcertanti scenari: «Se la Prefettura dovesse verificare pressioni subite dal sindaco e infiltrazioni di un certo tipo potrebbero esserci risvolti inediti».
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