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Lo spillover che verrà

Lo spillover che verràStudio dei pipistrelli all'Università Nazionale Autonoma del Messico; in basso un vittima di Ebola in isolamento a Beni, nella Repubblica Democratica del Congo – Ap

Lo studio La crisi climatica e il rischio di nuovi spillover sono strettamente intrecciati, spiega una nuova ricerca su Nature. Il riscaldamento globale porterà i mammiferi a cercare nuovi habitat e metterà in contatto specie oggi separate. Il rischio che un virus salti di specie, e magari provochi una nuova pandemia, nei prossimi anni è destinato ad aumentare anche se il global warming rallenterà

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 30 aprile 2022

Il virus Ebola fa di nuovo capolino nella Repubblica Democratica del Congo. Per ora l’Oms segnala solo due casi, entrambi letali: un uomo di 36 anni e una donna di 25 del suo stesso nucleo familiare. E aggiunge che non si tratta di un residuo di passate epidemie: «il genoma è stato sequenziato all’Istituto Nazionale per la ricerca Medica di Kinshasa e i risultati indicano che il focolaio nasce da un nuovo spillover dalla popolazione animale», spiegano all’Oms. “Spillover” significa che il virus trovato nell’uomo proviene con tutta probabilità da un pipistrello o da una scimmia, in cui Ebola è endemico.

È il sesto focolaio di Ebola nel paese in quattro anni, uno ogni otto mesi. Fino al 2014, tra un focolaio e l’altro passavano in media sei anni.

Non è una questione di sfortuna: i mutamenti climatici e la deforestazione stanno aumentando il rischio di spillover e di nuove epidemie.

Anche alle nostre latitudini, dalla Sars al Covid-19 passando per diversi virus influenzali, nei primi vent’anni del millennio abbiamo danzato varie volte con potenziali pandemie, finché il rischio non si è concretizzato davvero.

A confermare che non si tratta di una coincidenza, arriva anche uno studio pubblicato su Nature e coordinato dall’ecologo Colin Carlson della Georgetown University di Washington. Carlson e colleghi hanno simulato al computer come il cambiamento climatico condurrà i mammiferi verso nuovi habitat da qui al 2070. Con l’aumentare della temperatura, si sposteranno a quote più alte, entrando in contatto con altre specie da cui finora erano separate. Il rischio di trasmettere virus da una specie all’altra aumenta a dismisura.

Secondo il loro studio, nei prossimi cinquant’anni ci saranno oltre trecentomila incontri tra specie attualmente distanti e circa quindicimila virus salteranno da una all’altra, mettendo a rischio anche Homo sapiens. Le tredici specie che possono ospitare Ebola, per esempio, potrebbero entrare in contatto con circa tremila nuove specie e dare vita a un centinaio di salti di specie: il rischio che virus come Ebola si estendano a nuove aree geografiche è destinato ad aumentare. Il pipistrello sarà il protagonista di questa diaspora virale: tra i mammiferi è l’unico a volare e a superare le barriere geografiche. Quasi il 90% dei nuovi incontri tra specie riguarderanno loro. Le aree maggiormente a rischio spillover, secondo i ricercatori, sono l’Africa orientale, l’India, la Cina orientale, l’Indonesia e le Filippine, dove sono riunite le condizioni geografiche e demografiche «ideali» per un nuovo salto. Più che le foreste, spiegano i ricercatori, sono le aree di nuova coltivazione e insediamento umano a presentare i rischi maggiori.

Gli scienziati hanno testato diversi scenari sul mutamento climatico giungendo a una conclusione poco rassicurante: il processo di rimescolamento è già in atto all’attuale temperatura del pianeta. Se anche le strategie di mitigazione dovessero frenare il riscaldamento globale, il rischio di spillover non diminuirebbe. «Se il riscaldamento dovesse rallentare – scrivono i ricercatori – le specie potranno trovare con maggior successo nicchie climatiche ottimali, con maggiore possibilità di ampliare il proprio habitat e di nuovi incontri con altre specie».

Ma queste previsioni non costituiscono un alibi per l’inazione. Al contrario «mostrano l’urgente necessità di migliori sistemi di sorveglianza sulle malattie degli animali selvatici e di un’infrastruttura di salute pubblica come forme di adattamento al mutamento climatico».

Secondo l’efficace sintesi del mensile statunitense The Atlantic, l’Antropocene dominato dalla nostra specie sta lasciando il posto al Pandemicene, l’era in cui i virus detteranno le regole. I segni che il Covid-19 non sia un incidente della storia già ci sono. Gli scienziati monitorano da vicino i virus influenzali che si stanno diffondendo negli allevamenti intensivi e che, non così di rado, colpiscono anche uomini e donne.

Dalla fine del 2021, negli allevamenti di pollame è tornato a diffondersi il ceppo influenzale H5N1, causando l’abbattimento o la morte di quindici milioni di animali solo nel biennio 2020-21. Dal 2003 a oggi, questo ceppo virale è stato all’origine di oltre 800 casi anche tra gli umani, di cui oltre la metà mortali. Finora il virus H5N1 non si è dimostrato in grado di trasmettersi anche da persona a persona, ma l’elevata circolazione del virus aumenta la probabilità che emerga una variante capace di diffondersi tra noi.

La buona notizia è che la sorveglianza sui virus che circolano tra gli animali è molto migliorata e oggi disponiamo di parecchie informazioni in più. La conoscenza del genoma di molti patogeni facilita lo sviluppo rapido di nuovi vaccini, sulla scorta dell’esperienza acquisita con il coronavirus. Ma affrontare le crisi globali a colpi di vaccino non è certo la soluzione.

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