Con l’ammutinamento dei miliziani del gruppo Wagner è ricomparso sulla scena politica russa lo spettro di Maljuta Skuratov, posto da Ivan il Terribile a capo dell’opriscnina: un mondo a parte, un ordine militare di monaci-guerrieri istituito dallo zar per combattere i boiari ribelli. Nel 2021, Putin, storico in capo della Russia del 21esimo secolo, ha scagionato Maljuta Skuratov dall’aver ucciso nel 1569 il metropolita Filippo II sospettato di tradimento in quanto avversario dell’ opriscnina.

PRIMA DI INSCENARE la marcia interrotta della giustizia, Prigozhin, il Maljuta Skuratov del 21esimo secolo, è andato in tournée in Russia manifestando l’intenzione di creare un secondo fronte politico-ideologico, al fine di suscitare una autentica mobilitazione patriottica trasformando il sistema politico russo in una dittatura marziale, quale stato d’eccezione basato sulla pena di morte e sull’economia pianificata. Nel corso della sua tournée, Prigozhin ha incontrato lo scrittore Zachar Prilepin, esteta armato e combattente in Ucraina, che il 6 maggio ha subito un attentato. Dopo essere stato un seguace del nazional-bolscevismo dello scrittore maledetto Limonov, Prilepin intende arruolare l’intera cultura russa nella guerra irregolare degli strani tipi, creando una sorta di pantheon guerriero. Il primo giugno, Prigožin si è recato in visita all’ospedale di Nižnij Novgorod dove lo scrittore è ricoverato, intrecciando con Prilepin un dialogo sul destino della Russia e sull’essenza del potere in una fase cruciale della guerra: mentre gli ucraini hanno dimostrato di saper combattere, la condotta e gli orientamenti strategici dell’esercito russo restano avvolti dal mistero.

PRILEPIN ha elogiato Prigozhin elevandolo a simbolo di una politica indipendente fondata sulla fede nella invincibilità della Russia. Al di là dell’immagine di cuoco di Putin, Prigožin aspira a formulare una nuova ideologia di stato alternativa alla democrazia sovrana, perché non risolutamente patriottica e contaminata da scorie di liberalismo. Tale orientamento trova espressione nelle elucubrazioni imperiali ed esoterico-politiche di Aleksandr Dugin, filosofo ammiratore di Julius Evola, la cui figlia Dar’ja è stata uccisa in un attentato terroristico il 20 agosto 2022 ed elevata a martire della patria.

DUGIN considera il gruppo Wagner la nuova opriscnina, perché, come nell’epoca di Ivan il Terribile, è un esercito che è stato forgiato dal fuoco delle battaglie ed è formato dai patrioti più coraggiosi e affidabili, espressione più autentica della metafisica russa della guerra. Pur muovendosi nel contesto della verticale del potere, Prigožin non è apparso un cane fedele dello zar come Maljuta Skuratov, ma come fautore di un sistema alternativo fondato, secondo Dugin, sulla giustizia, sull’odio per l’oligarchia affaristica, sul coraggio, sull’onestà e sull’autentica fratellanza della prima linea. Dugin considera la rivolta interrotta del 24 giugno come l’annuncio di una mostruosa catastrofe, un conflitto all’interno dell’élite che conduce inevitabilmente la Russia verso una svolta, quale biforcazione del suo destino. Putin ha salvato la Russia sull’orlo dell’abisso ma dovrebbe far propria l’ideologia della nuova opricnina rafforzando l’autocoscienza patriottica, la giustizia sociale e includendo la società nella guerra; tale ideologia potrebbe infondere quella passionarietà che fatalmente manca alla verticale del potere. Pur sbagliando, i wagneristi, nella loro cavalcata delle valchirie, hanno mostrato di essere dei passionari, mentre al centro della verticale del potere prevalgono i subpassionari che sono carenti di energie vitali. Qualora prevalesse l’inerzia indecisionista si potrebbe profilare lo scenario peggiore: la criminalizzazione del patriottismo e la ripetizione infinita della rivolta fino alla catastrofe finale.

L’UNICO MODO per sconfiggere la rivolta di Wagner, secondo Dugin, è trasformare i soldati in guerrieri e l’esercito una vasta opriscnina sul modello del gruppo Wagner. La marcia della giustizia dovrebbe proseguire con altri mezzi fino a giungere a Mosca. Anche nel 21esimo secolo, l’opriscnina appare come un mondo delle tenebre che nella sua radicale separatezza attesta la continuità storica con i pretoriani dell’epoca di Stalin incarnata dai siloviki, gli uomini dei ministeri della forza, la nuova aristocrazia ascesa al potere con Putin. Come dimostra l’ammutinamento del gruppo Wagner, lo stato forte di Putin appare come una impalcatura senza fondamenta, un relitto di impero basato sul mito del russkij mir destinato a un nebuloso avvenire. La marcia della giustizia attesta, secondo Vladislav Surkov, ideologo della democrazia sovrana, che la Russia si è posta in una prospettiva pericolosa perché le milizie private sono comparse nella sua storia o nel contesto della guerra civile del 1917 o al tempo del periodo dei torbidi del 17esimo secolo (smuta) preannunciato dal terrore infernale scatenato dall’ opriscnina: lo scisma all’interno della nazione russa è più letale del nazionalismo separatista ucraino. Sebbene la marcia di Prigožin non sia stata una cavalcata delle valchirie può essere considerata come l’inizio di una nuova smuta. Il 27 giugno Putin si è reinvestito del ruolo di leader nazionale tendendo un discorso ai siloviki e rafforzando il ruolo della Guardia Nazionale al comando di Viktor Zolotov ,che si appresta a diventare un esercito parallelo esautorando, quale ulteriore opriscnina, sia Prigozhin sia il suo nemico: il ministro della difesa Šojgu.

NEL CORSO di un ventennio Putin non è riuscito, come Lenin, a creare uno stato di colpo, per cui è destinato al colpo di stato permanente. Come rileva Surkov, la Russia può trasformarsi in una turbolenta zona tribale eurasiatica che, entrata in un nuovo periodo dei torbidi, da una parte agita lo spettro della guerra nucleare, dall’altra appare come uno stato neo- gotico al quale servono veri cavalieri medievali, feudatari senza principi, furbi e malvagi protagonisti di un fenomeno idealtipico della storia russa: il carnevale noir degli impostori.

*Ordinario di storia dell’Europa orientale alla Facoltà di Scienze politiche della Sapienza