Lo scriba egeo e il rompicapo degli archivi
Scriba accovacciato con rotolo di papiro sulle gambe incrociate, statua in calcare, Antico Regno, V Dinastia, III millennio a.C., Parigi, Louvre
Alias Domenica

Lo scriba egeo e il rompicapo degli archivi

Saggi Geroglifici, Lineare A, Lineare B... Con le consuete dottrina e passione, Louis Godart analizza migliaia di documenti da Pilo, Cnosso, Festo: «I custodi della memoria», da Einaudi
Pubblicato circa un anno faEdizione del 17 settembre 2023

«Con il suo sguardo di eternità, illuminato dagli occhi di cristallo e di quarzo, lo scriba del museo del Louvre, seduto, le gambe incrociate, un rotolo di papiro poggiato sulle ginocchia, è diventato l’emblema sublime di questi funzionari che costituivano l’ossatura degli Stati del Medio e Vicino Oriente e della Valle del Nilo».

Attraverso la descrizione della celebre statua datata alla V dinastia (2500 a.C.) e scoperta nel 1850 da Auguste Mariette nella necropoli di Saqqara dentro un pozzo situato a nord del Serapeo (i detrattori dell’egittologo insinuarono che, invece, la comprò) Louis Godart introduce il lettore a I custodi della memoria Lo scriba tra Mesopotamia, Egitto ed Egeo (Einaudi «Saggi», pp. XLII-296, euro 30,00).

La scultura in calcare, impreziosita da una vivace policromia, dello «scriba accovacciato» intento a srotolare un papiro nel grembo rappresenta, in effetti, nell’immaginario comune una delle figure maggiormente significative ed enigmatiche della civiltà egizia. E se i papiri rinvenuti nel «Paese delle due Terre» non smettono di interrogare gli studiosi, i visitatori dei più importanti musei archeologici del mondo si lasciano soprattutto incantare dall’impatto estetico dei geroglifici, stesi sotto l’egida del dio Toth dalle sapienti mani dei nobili e potenti funzionari del faraone.

Ma, come precisa il sottotitolo del volume, l’autore prende in considerazione anche il ruolo degli scribi – «ingranaggi» indispensabili del complesso apparato amministrativo inerente a ciascuna delle civiltà sorte e succedutesi nel Golfo arabo-persico e nella Grecia peninsulare e insulare. A dipanarsi tra pagine dense e ricche di dettagli, redatte con il consueto rigore scientifico e un’inestinguibile passione dall’archeologo e filologo di origine belga – attivamente impegnato nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio italiano e convinto partigiano della restituzione dei fregi del Partenone alla Grecia – è dunque, per estensione, anche la storia della scrittura.

L’obiettivo principale di Godart, già docente di Civiltà egee all’Università Federico II di Napoli e membro dell’Accademia dei Lincei è tuttavia quello di guidare il grande pubblico nella scoperta di temi meno popolari rispetto alla scrittura geroglifica (di ambito egizio) e cuneiforme quali la «scrittura di Archanes», comparsa a Creta intorno al 2100 a.C., gli archivi in geroglifico e in lineare A di Cnosso, Malia e Festo risalenti al 1700 a.C. nonché gli altri depositi di archivi in lineare A, la cui cronologia non supera il tramonto della civiltà palaziale minoica (1500 a.C.).

Com’è noto, dall’incontro della civiltà minoica con i Greci Micenei nacque poi la lineare B – decifrata nel 1952 da Michael Ventris –, cui si accenna già nei manuali scolastici perché «antesignana» dell’alfabeto greco e quindi in qualche modo simbolica dell’eredità culturale dell’Occidente.

Nell’affrontare la lettura, indubbiamente impegnativa, del saggio (a Godart va però riconosciuta un’esposizione sempre chiara e ordinata, che permette anche ai meno esperti di districarsi in campi disciplinari estremamente specialistici) viene spontaneo attribuire all’autore – che vorrà perdonare tale suggestione – la meticolosità e la costanza che contraddistinguevano il lavoro degli scribi. D’altra parte è lui stesso a informarci di aver partecipato alla pubblicazione di tutte le iscrizioni minoiche e micenee riportate alla luce negli scavi dei vari siti dell’Egeo dal principio del Novecento a oggi, contribuendo dunque a ri-compilare e trasmettere le memorie oggetto della sua nuova opera.

Godart è anche l’unico ad aver disegnato le migliaia di iscrizioni incluse nei differenti corpora dedicati ai testi in geroglifico cretese, in lineare A e in lineare B.

Anche solo sfogliando l’accuratissimo apparato illustrativo del volume edito da Einaudi si apprezzano la maestria e la determinazione necessarie per l’analisi di una documentazione ostica e ancora in parte misteriosa confluita nel Corpus Hieroglyphicarum Cretae (un tomo), nel Recueil des inscriptions en linéaire A (cinque tomi), nel Corpus delle iscrizioni in lineare B di Cnosso (quattro tomi), nel Corpus delle iscrizioni in lineare B di Tebe (due tomi) e del Disco di Festos (un tomo).

Ma quella che potrebbe sembrare una mole sterminata di testimonianze è in realtà esigua e limitante se confrontata alle centinaia di migliaia di testi di cui possono disporre orientalisti ed egittologi.

Il totale dei materiali di area egea che tramandano esempi di scrittura ammonta, infatti, a «soli» 7850 documenti e 81mila segni, con il netto predominio della lineare B: gli archivi su argilla conservatisi casualmente nell’incendio delle residenze minoiche e micenee spiccano su tutti gli altri supporti, rappresentando il sessantacinque per cento della documentazione geroglifica, il novanta per cento di quella in lineare A e il novantanove per cento delle attestazioni in lineare B. Questo quadro puramente numerico spiega la difficoltà nel delineare un vero e proprio ritratto dello scriba egeo, di cui non ci è giunta neppure un’immagine e del quale non si conserva mai il nome.

Partendo da questa constatazione, Godart offre a chi avrà la tenacia di seguirlo nei suoi minuziosi procedimenti metodologici, il gusto e il fascino di scoperte che non hanno l’immediatezza di certi ritrovamenti archeologici ma che mostrano in quale misura reperti non eclatanti e incomprensibili ai più possano restituire alla comunità frammenti di storie. Il valore dato alla conoscenza del passato, che sola deriva da uno studio scrupoloso delle discipline antichistiche, è senz’altro una delle migliori qualità del libro, soprattutto se si valuta quest’ultimo nel panorama di una produzione divulgativa che – sulla scia di una comunicazione dell’archeologia improntata al sensazionalismo – indulge troppo spesso in narrazioni semplicistiche finalizzate a toccare le corde dell’emozionalità.

Eppure, se migliaia di appassionati (o dovremmo dire, piuttosto, di follower) si agitano in rete per l’annuncio di una «pizza» dipinta nella parete di una domus pompeiana, non dovrebbe forse provocare uguale stupore apprendere che è possibile riconoscere, scandagliando le numerose tavolette di Pilo, la «mano» di un medesimo scriba (che toccherà, ahinoi, chiamare convenzionalmente 601) attraverso l’analisi dei segni e del suo modo particolare e nondimeno fuorviante di disegnare dei «fiocchi» tra due tratti verticali di un carattere?

Ciò non deve tuttavia indurre a credere che il libro richieda sforzi incessanti e immani tra una miriade di «rompicapi». All’autore, che eccelle anche nell’arte oratoria, piace raccontare aneddoti, talvolta provocatòri, talvolta poetici.

Il lettore sarà forse sorpreso di scoprire – perché nessuno lo ha mai detto in televisione! – che la storia del diluvio universale è assai più antica della Bibbia e appartiene a molteplici società. A svelarlo ci ha pensato 140 anni fa George Smith, impiegato di una stamperia londinese che, durante le sue pause pranzo, preferiva passeggiare nelle sale del British Museum piuttosto che indugiare in un pub.

Nell’osservare quotidianamente le 130mila tavolette cuneiformi provenienti dalla Mesopotamia Smith ne divenne uno dei maggiori specialisti, fino a individuare un frammento di argilla di quindici centimetri vergato a Ninive nel VII secolo a.C., che mina l’attendibilità della «rivelazione» della religione cristiana e spinge a riflettere sul rapporto tra scrittura e «verità».

Nei sette capitoli in cui è suddiviso il volume non mancano riferimenti al ruolo della scrittura estrapolati dall’epopea di Gilgamesh e dai poemi omerici. Approfondendo anche i miti sumerici, i racconti egizi e la tragedia Prometeo incatenato di Eschilo, Godart rivela quanto il «prodigio» della scrittura sia legato anche alla mantica.

Lo scriba ci appare infine come un indovino capace di interpretare le profezie divine. Nell’orizzonte illustrato da Godart, scrivere corrispondeva dunque a emergere dagli abissi dell’ignoranza per accedere alla conoscenza liberatrice.

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