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Lo sciopero rompe l’unanimismo del governo di tutti

Lo sciopero rompe l’unanimismo del governo di tutti

L'intervento Lo sciopero generale indetto da Cgil L e Uil ha il grande merito di rompere la cappa di conformismo che avvolge il Paese. Il conflitto sociale è un fatto normale, e le istituzioni democratiche dovrebbero incanalarlo lungo percorsi non distruttivi, ma che comunque ne riconoscano funzione e ne rendano possibile la soluzione

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 12 dicembre 2021

Lo sciopero generale indetto da Cgil L e Uil ha il grande merito di rompere la cappa di conformismo che avvolge il Paese. Il conflitto sociale è un fatto normale, e le istituzioni democratiche dovrebbero incanalarlo lungo percorsi non distruttivi, ma che comunque ne riconoscano funzione e ne rendano possibile la soluzione.
Con il governo Draghi, al contrario, si predica l’unanimismo e si pretende che scelte di parte vengano accolte e persino vissute come necessità storiche, se non addirittura naturali.

Ai sindacati è concessa la pantomima di tavoli il cui esito è sempre consegnato ad un futuro di là da venire, a condizione che nel presente siano accondiscendenti a qualunque scelta, contribuendo così ad attribuirle una presunta neutralità.
I partiti di governo sono relegati in un angolo a recitare una parodia della politica, dividendosi sulle briciole e su questioni di nessuna rilevanza per l’establishment, ma sempre ben lontani da risorse e scelte rilevanti.

I grandi media sono come ufficiali di complemento, e collocati a difesa di una narrazione che ci vuole locomotiva del mondo, grazie alla guida del Timoniere di Palazzo Chigi.
Peccato che per il vissuto quotidiano di milioni di persone le cose siano ben diverse.
L’inflazione al 3,8% e il decollo delle bollette energetiche all’inizio dell’inverno rappresentano una promessa di impoverimento per tutti i lavoratori dipendenti e subordinati, già provati da redditi ai limiti di una dignitosa sopravvivenza. I dati sui nuovi contratti post-pandemia ci dicono inequivocabilmente che il lavoro buono, fatto di prospettive di lungo periodo e diritti, è cancellato a favore di lavoretti a termine, legati alla contingenza e utili solo per sfangare la giornata.

Non a caso infortuni e morti sul lavoro esplodono, senza che si faccia nulla oltre la promessa di fare qualcosa.
La povertà assoluta è raddoppiata dal 2010, arrivando a colpire 2 milioni di famiglie, un vero esercito di invisibili per cui il reddito di cittadinanza è una risposta parziale, che peraltro viene indebolita dal governo e quotidianamente stigmatizzata, a significare che non esistono pieni diritti costituzionali per i non abbienti.
In questo contesto, chi lavora assiste ogni giorno allo spettacolo indegno delle delocalizzazioni e della desertificazione di interi territori produttivi, con la maggioranza parlamentare impegnata nel gioco perenne del cerino.

Per molti operai e impiegati guardare un Tg significa spesso chiedersi a chi toccherà la prossima volta. Eppure dobbiamo sentirci raccontare che la manovra di Bilancio è positiva perché taglia le tasse a persone che non ne avrebbero alcun bisogno, dimenticando completamente che la società reale è impoverita, impaurita, privata di quelli che riteneva diritti acquisiti e accumula rabbia disinnescata solo dall’impotenza.
Ora lo sciopero dà a tutti noi l’occasione di denudare il Re.

È uno sciopero politico, perché rimette al centro la questione fondamentale della redistribuzione di potere e ricchezza, che negli ultimi 30 anni hanno subito un impressionante processo di concentrazione verso l’alto.
È uno sciopero politico, perché costringe tutti a misurarsi col fatto che non esistono scelte neutrali, ma sempre e solo di parte, tanto che persino la crescita non serve a nulla, se il suo solo risultato è consolidare vincenti e perdenti, ciascuno nel proprio ruolo.
È uno sciopero a cui la sinistra politica ha il dovere di dare una risposta che non si misura in 100 o 200 milioni, e nemmeno in 1 o 5 miliardi, ma in termini di prospettiva immediata e di medio periodo.

Appoggiare il governo Draghi è stato un errore clamoroso, di cui ogni giorno di più si misura la portata.
Si può lasciare che consumi anche il futuro, continuando a bere la dose quotidiana dell’amaro calice, o investire su una nuova alleanza, che rimetta al centro la questione sociale e faccia una chiara e netta scelta di campo.
Redistribuzione, diritti, beni comuni, giustizia sociale e ambientale: per ognuna di queste parole d’ordine esiste una traduzione concreta, che non ha nulla a che fare con l’Agenda Draghi.
L’anestetico del semestre bianco è ormai terminato e il tempo delle scelte è ora.

*Responsabile economia SI

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