“Con queste cartucce il governo uccide i nostri coetanei”. Ahmed vive a Livorno da cinque anni, è studente e con un gruppo di connazionali ha voluto prendere parte al presidio davanti alla fabbrica Cheddite, organizzato dal coordinamento cittadino per il ritiro delle missioni militari all’estero. Come gli altri giovani iraniani ha una grossa benda medica che gli copre un occhio, a simboleggiare le ferite inferte dalle forze dell’ordine di Tehrran ai manifestanti che da mesi protestano nelle piazze del suo paese.

Sono più di un centinaio i partecipanti al presidio davanti a una delle fabbriche più vecchie di Livorno, aperta nel 1901 e specializzata nella produzione e commercializzazione di cartucce per le armi leggere da caccia. Uno stabilimento sorto alla periferia sud della città labronica, nel quartiere Tre Querce-Limoncino, al limitare di un bosco nell’entroterra.

UN’AZIENDA FIORENTE, leader del settore, che dopo l’acquisto di una fabbrica gemella d’oltralpe è diventata italofrancese. E che per la seconda volta in due anni, prima in Birmania e oggi in Iran, come raccontato in questi mesi da diverse inchieste del manifesto deve spiegare come mai i bossoli Cheddite sono stati trovati nel corso delle repressioni di piazza, nonostante lo stop europeo all’esportazione di armamenti di ogni genere nei due paesi.

I manifestanti del coordinamento livornese per il ritiro delle missioni militari italiane fanno parte della locale sinistra di alternativa, Potere al popolo e Rifondazione comunista, con loro anche esponenti dei movimenti cittadini e anarchici libertari.

Aurora Trotta, consigliera comunale per Pap, giovanissima ma già conosciuta e apprezzata per il suo attivismo politico in città, racconta che la fabbrica Cheddite è una delle poche rimaste aperte a Livorno: “I loro affari vanno bene, dentro ci lavorano una sessantina di addetti. Abbiamo provato a incontrarli, ma sembra ci sia stato un ordine di servizio che oggi impediva loro di uscire”.

Di fronte alle telecamere del Tg3 regionale toscano, gli attivisti del coordinamento antiguerra livornese spiegano che, in quanto produttrice di proiettili leggeri e da caccia, le esportazioni della Cheddite possono essere sottoposte a controlli meno rigorosi rispetto alle armi da guerra. “Tuttavia la vendita di armi anche leggere all’Iran è illegale – puntualizzano – dal momento che già dal 2011 il paese è sottoposto all’embargo totale della vendita di ogni tipo di arma utilizzabile per la repressione delle proteste di piazza”.

L’azienda si è giustificata con l’Uama, Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento della Farnesina, spiegando che i bossoli Cheddite possono essere venduti da società estere ad aziende iraniane, e da queste ultime utilizzati per fare cartucce complete.

MA PER GLI ATTIVISTI del coordinamento si tratta né più né meno di una triangolazione, come si legge in una mozione presentata da Pap in consiglio comunale: “In Birmania i bossoli erano stati venduti al regime dalla turca Yavaşçalar – racconta sul punto Aurora Trotta – un marchio della turca Zsr Patlayici Sanayi, per proiettili di gomma con componenti Cheddite. E’ probabile che la stessa triangolazione sia avvenuta in Iran”.

La mozione sarà discussa in consiglio comunale fra almeno due settimane, Trotta comunque anticipa che le proteste andranno avanti: “Noi riteniamo che la città e la sua amministrazione debbano essere coinvolte nel controllo effettivo delle esportazioni, e nella pressione che va fatta sul governo nazionale perché impedisca nuove triangolazioni di armi verso l’Iran, attraverso la Turchia o altri paesi, fino all’accertamento definitivo delle responsabilità della Cheddite”.

Anche la Filctem Cgil labronica chiede chiarezza, così come la parlamentare dem Laura Boldrini, che al question time con il ministro Tajani ha chiesto risposte “all’interrogazione che ho presentato in commissione esteri sul caso delle cartucce sparate da soldati e poliziotti iraniani che sarebbero fabbricate a Livorno da una società italo-francese. Confido in una risposta tempestiva e chiara, perché l’Italia non può, secondo le sue stesse leggi, fornire armi o strumenti d’arma a chi reprime e soffoca i diritti umani”.