L’anatema di Kiev è violentissimo: «Berlusconi bacia le mani insanguinate di Putin» La premier italiana non replica e non commenta. La parola d’ordine è certo non difendere, ma neppure bastonare troppo, abbassare i toni con l’auspicio che quando nei prossimi giorni Meloni arriverà a Kiev la protesta si sia placata. Fosse per l’opposizione non andrebbe certo così. Le raffiche contro il reprobo di Arcore per colpire la premier è nell’ordine delle cose. Dal Pd ai centristi la richiesta è martellante: «Meloni chiarisca qual è la posizione del governo».

Solo che non c’è niente da chiarire. La posizione del governo è netta. Capita però che un leader della maggioranza, e non uno qualsiasi, pensi cose opposte, ritenga Zelensky responsabile della guerra per aver attaccato «le repubbliche autonome del Donbass», giudichi il presidente ucraino «molto, molto negativamente», non esiti ad affermare: «Io, da premier, con Zelensky non avrei palato».

Altrettanto da repertorio le reazioni della maggioranza: la premier furibonda che però in pubblico fa finta di niente e ringrazia una provvidenziale influenza che le permette di cancellare gli impegni in agenda evitando incresciose domande. La nota da manuale di palazzo Chigi: «Il sostegno all’Ucraina è saldo e convinto». L’imbarazzo di Tajani che prende le distanze, conferma lo schieramento azzurro a fianco di Kiev, tempesta di telefonate Arcore e ottiene la solita precisazione, tanto rituale da suonare beffarda: «Il sostegno all’Ucraina non è mai stato in dubbio. Berlusconi voleva solo esprimere preoccupazione». Lo smarrimento della truppa azzurra, colta di sorpresa. Il silenzio della Lega. La minimizzazione di FdI: «Posizioni personali. Cose da non prendere sul serio».

Ma come si fa a minimizzare? Non è possibile per troppi motivi. Perché Berlusconi è il leader di una forza che sarà pure ridotta ai minimi termini ma resta indispensabile in parlamento. Perché stavolta è impossibile derubricare la fragorosa uscita a distrazione o equivoco: il luogo, il momento e la scelta dei termini rivelano che il Cavaliere voleva dire esattamente quel che ha detto e ci teneva a che le sue parole avessero il massimo risalto, in Italia ma soprattutto all’estero. Salvo poi smentire, precisare: un gioco che porta avanti da quasi trent’anni. Infine, e forse soprattutto, perché fuori dai confini nazionali il nome di Giorgia Meloni è ancora quasi sconosciuto. Berlusconi lo conoscono tutti, ovunque. Se si esprime su un tema così delicato e nevralgico la grancassa globale è garantita.

Probabilmente le ripercussioni nelle capitali dell’Occidente sono proprio ciò a cui il Cavaliere mirava, molto più che non a strappare qualche voto contrario alla guerra. Quel calcolo in prospettiva c’è di sicuro. La stessa Meloni, dopo il doppio sgarbo dell’Eliseo e di Zelensky a Bruxelles, ha ammesso che la posizione di fatto belligerante «sul piano del consenso non è la soluzione migliore». Ma lo sgambetto è troppo accuratamente mirato per ridursi a facile propaganda, destinata peraltro a essere rapidamente smentita dal disciplinato voto in aula. È infatti da escludersi la tentazione di un voto in dissenso nei prossimi mesi, che porterebbe alla crisi di governo su un terreno dove per Arcore non ci sono sponde utilizzabili.

In compenso la sparata del Cavaliere mina l’argomentazione più forte di cui la premier dispone nelle trattative internazionali, con gli Usa e con i Paesi Ue. Beffa l’immagine di leader capace di garantire l’atlantismo blindato dell’Italia tenendo sotto controllo sia gli alleati che una popolazione di tutt’altro umore. Le scopre il fianco ben sapendo che ad approfittarne saranno quegli alleati europei che, per diversi motivi, non vedono l’ora di indebolire la presidente di destra e destabilizzare il suo governo.

La stessa uscita di Gentiloni, il primo ieri mattina a difendere il governo italiano «coerentemente con Kiev», dimostra quanto il commissario europeo sia allarmato dai possibili riflessi sulla situazione dell’Italia nella Ue. Segue a ruota la Nato, con Stoltenberg che si affanna a gettare acqua sul fuoco: «Sono fiducioso che l’Italia rimarrà un forte sostenitore di Kiev». Così, come il dipartimento di Stato Usa: «Apprezziamo il forte sostegno dell’Italia all’Ucraina».

Che il voto regionale rischiasse di avere effetti destabilizzanti era scontato. Berlusconi si è però spinto oltre il classico gioco di disturbo. Tanto oltre da prefigurare un obiettivo preciso: azzoppare Meloni prima che sia troppo tardi.