L’invenzione del «paese sicuro» attacco al diritto d’asilo
Opinioni Si tenta di smantellare in Europa una conquista di civiltà, vissuta come limite alla sovranità nazionale e data in pasto alle frustrazioni popolari. Ma le migrazioni non si arrestano
Opinioni Si tenta di smantellare in Europa una conquista di civiltà, vissuta come limite alla sovranità nazionale e data in pasto alle frustrazioni popolari. Ma le migrazioni non si arrestano
Le politiche migratorie, o più propriamente le politiche di difesa dall’immigrazione, applicate con maggiore o minore durezza da tutti i paesi europei non sono che una crudele messa in scena. Crudele perché provocano innumerevoli morti e sofferenze, messa in scena perché impraticabili, inadeguate, economicamente insostenibili, o del tutto inefficaci.
In questo gioco di finzioni e di velenosa propaganda un posto d’onore spetta senza dubbio all’invenzione del “paese sicuro”. La nuova fattispecie fu istituita, senza alcuna attenzione per le realtà politiche e sociali di fatto, al solo scopo di poter respingere, simulando di tener conto delle regole umanitarie, la massa dei migranti in fuga da condizioni economiche e ambientali o da condizioni di oppressione sempre meno sostenibili. Puntava a riconoscere un diritto di accoglienza e protezione solo a chi si trovasse in pericolo di vita o avesse subito violenza per ragioni politiche o culturali in un paese ufficialmente riconosciuto per la sistematica negazione dei diritti umani.
Si trattava, insomma, di una classificazione di comodo, del tutto arbitraria e di carattere astrattamente generale che avrebbe permesso di avvicinarsi per tappe, procedure accelerate e trattenimenti, a quei respingimenti di massa, o almeno a ciclo continuo, che il diritto dell’Unione esplicitamente vieta.
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Contro il diritto Ue la bacchetta magica non funzionaMa l’inconsistenza e la strumentalità di questa patente di sicurezza si è rivelata ben presto fonte di innumerevoli controversie. Quasi sempre le minoranze di ogni genere e i dissidenti politici ne restano fuori, per non parlare dell’oppressione e delle gravissime discriminazioni subite dalle donne in diversi “paesi sicuri”.
Due esempi minori ma chiari che riguardano la Germania: quando Berlino decise di includere la Moldavia e la Georgia nella lista dei paesi sicuri, molte voci di protesta si levarono, anche all’interno della maggioranza di governo, perché nel primo paese i Rom erano oggetto di gravi discriminazioni e, nel secondo, gli orientamenti sessuali costituivano motivo di persecuzione. Più vergognosa ancora la protezione revocata agli esuli curdi in Svezia e Finlandia, fino a quel momento considerati perseguitati politici, in cambio della rimozione del veto turco all’ingresso dei due paesi nella Nato. Quando la politica decide, decide in modo infame.
Gli accordi stipulati dall’Unione europea con la Turchia (sovvenzionando i terrificanti Lager aperti in quel paese) cui si chiedeva dietro lauti compensi di fermare e in qualche modo integrare temporaneamente il flusso migratorio siriano hanno funzionato in realtà come una gigantesca macchina di reclusione, respingimento e “remigrazione” forzata, tanto per usare il termine caro ai neonazisti austriaci e tedeschi. Quanto all’Italia, può vantare il sostegno ai trafficanti tagliagole della cosiddetta guardia costiera libica e il corteggiamento del dittatore tunisino che manda i migranti a morire nel deserto.
La sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso 4 di ottobre, nello stabilire i requisiti richiesti a un paese per essere considerato “sicuro”, (per tutti e in ogni sua parte) smonta nei fatti questo sporco gioco di finzioni e di omissioni: forse solo qualche paese, da cui quasi nessuno penserebbe di fuggire, finirebbe col superare l’esame.
È insomma la fattispecie stessa di “paese sicuro” a finire travolta da un principio seriamente inteso di giustizia sovranazionale. La minaccia di persecuzione e dunque il diritto di fuga (che è ridicolo voler ricondurre a un percorso di espatrio legale) è una questione che attiene alle condizioni di pericolo che incombono su ogni singolo e su ogni particolare figura sociale e che non possono essere subordinati a nessuna categoria astrattamente generale e, men che meno, alla provenienza geografica. Le migrazioni sono un fenomeno di massa, un movimento collettivo, ma irriducibile a qualunque forma di omogeneità, una moltitudine di singole storie e di personali aspirazioni di libertà.
Un guardasigilli, campione di improntitudine e di arrampicata sugli specchi, pretende che per derogare dalla regola del paese sicuro, e dunque idoneo al rimpatrio, il magistrato debba argomentare nel dettaglio i rischi di violenza e persecuzione cui ogni singolo richiedente asilo sarebbe esposto nel paese di provenienza. Ma le procedure accelerate e trasportate in un altrove recluso, opaco e irraggiungibile come i Lager fuori dai confini sono appositamente studiate proprio per impedire questo esame e automatizzare quindi la macchina del respingimento.
È in atto, in tutta Europa, lo smantellamento progressivo di una delle più importanti conquiste di civiltà: il diritto di asilo. Vissuto come un limite alla sovranità nazionale e dato in pasto alle frustrazioni popolari da una demagogia senza scrupoli. Ma quello delle migrazioni è un fenomeno talmente imponente e articolato che nessuna messa in scena, per quanto crudele e rumorosa, sarà in grado di arginarlo. Figuriamoci gli isterici decreti legge del governo di Roma.
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