Il Congresso dei deputati spagnolo recentemente ha approvato la riforma della legge sulla salute sessuale e riproduttiva, ponendosi come riferimento per il resto dell’Europa in materia di aborto e diritti riproduttivi. Il testo è ora atteso in Senato prima di diventare definitivo.

Con questa riforma, la Spagna si aggiudica il primato europeo nel riconoscere il diritto delle donne con mestruazioni dolorose di ricevere un’invalidità temporanea retribuita dallo Stato, la distribuzione gratuita di contraccettivi di barriera nelle scuole e negli istituti penitenziari, l’obbligatorietà dell’educazione sessuale sin dalle scuole di infanzia e il congedo prenatale richiedibile dalla 39esima settimana di gestazione, integrativo del congedo di maternità.

Ma è in tema di aborto che il testo di legge introduce le novità più rilevanti.

A differenza del nostro Paese, le ragazze tra i 16 e i 17 anni e le persone con disabilità potranno interrompere volontariamente la gravidanza indesiderata senza bisogno del consenso dei genitori o dei tutori legali. Vengono poi aboliti altri due requisiti fino ad ora obbligatori. Ad oggi, le donne che in Spagna richiedevano di abortire ricevevano una busta con informazioni sugli aiuti pubblici e sugli incentivi per il sostegno alla maternità; dopo aver ricevuto questi documenti, era obbligatorio lasciar trascorrere tre giorni di riflessione prima di sottoporsi all’intervento. Con la nuova legge, si eliminano tali requisiti, che per molte associazioni e attiviste erano considerati dissuasori.

“Lo stato rispetta la decisione delle donne e non dubita delle loro scelte”, ha dichiarato Irene Montero, ministra per le pari opportunità e prima promotrice del testo di legge (intervistata dal manifesto il 30 dicembre).

Viene poi previsto un congedo per malattia dopo l’intervento di ivg e la gratuità, in tutte le strutture ospedaliere pubbliche, della pillola del giorno dopo.

Infine, una delle più importanti e attese novità attiene alla creazione di un registro di medici obiettori di coscienza in ogni regione, dove i professionisti dovranno iscriversi: così da rendere compatibile il diritto ad abortire con quello ad obiettare e garantire a ciascuna donna di evitare di rivolgersi a strutture dove le sarebbe impedito l’aborto nei tempi previsti dalla legge.

Ora, poiché le leggi non esistono per risolvere dilemmi filosofici o questioni di parte, ma per garantire diritti specifici, viene naturale il paragone rispetto alla normativa italiana, mai toccata da oltre quarant’anni.

La legge 194/1978 mostra infatti oggi tutte le sue arretratezze. Ne è un esempio la necessità di attendere sette giorni prima di procedere con una ivg (c.d. “settimana di riflessione”), che non solo sottende l’idea di cittadine fragili, mai libere davvero di scegliere da sole, ma si pone contro la migliore letteratura medica che certifica come l’incidenza di complicazioni psicofisiche aumenti con l’aumentare dell’età gestazionale.

O ancora, il necessario consenso di entrambi i genitori per le minorenni e l’assenza di meccanismi sanzionatori nei casi, non infrequenti, di percentuali troppo elevate di personale medico obiettore di coscienza, fino alla possibilità che non solo i ginecologi ma anche anestesisti possano opporre obiezione rifiutando le terapie del dolore. E molte altre sono le criticità insite nella legge 194.

Eppure, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità chiede ai paesi di “rimuovere tutti gli ostacoli politici non necessari dal punto di vista medico all’aborto sicuro”, in quanto tali barriere “mettono le donne a maggior rischio di aborti non sicuri, stigmatizzazione e complicazioni per la salute”.

È evidente pertanto come la Spagna si trovi oggi dalla parte giusta della storia per tutti coloro che aspettano da decenni che nuovi diritti vengano riconosciuti o che i “vecchi” vengano messi al passo con i tempi delle esigenze della società in cui vivono. La domanda è: noi, invece, da che parte vogliamo stare?

*Radicali italiani, promotrice della campagna “Libera di abortire”