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Libia: accordo a voce all’Eliseo, senza firma

Libia: accordo a voce all’Eliseo, senza firmaParigi, Macron ieri al vertice dell’Eliseo con il presidente del Niger Mhamadou Issoufou – Afp

Il vertice Fragile intesa a Parigi. Elezioni il 10 dicembre. Assicurazioni per garantire un voto sicuro e accettazione del risultato da parte dei capi politici. Macron: "incontro storico". Ma non c'è nessun impegno sul rispetto dei diritti umani. Woerth incriminato per i soldi libici a Sarkozy nel 2007

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 30 maggio 2018

La Libia andrà alle urne il 10 dicembre prossimo. È, a parole, la conclusione del vertice organizzato ieri all’Eliseo, alla presenza dei quattro principali responsabili politici libici, Fayez al-Sarraj, capo del governo di accordo nazionale (riconosciuto dalla comunità internazionale), il maresciallo Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica (amico dei francesi), Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti, e Khaled al-Mishri, presidente del Consiglio di stato. I 4 si «impegnano a lavorare con l’Onu per organizzare elezioni credibili e pacifiche e a rispettare il risultato».

«UNA TAPPA-CHIAVE per la riconciliazione», ha affermato Emmanuel Macron, che aveva invitato ieri a Parigi 20 paesi (i 5 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più Germania, Olanda, Egitto, Ciad, Niger, Tunisia, Algeria, Marocco, Emirati, Qatar, Arabia saudita, Kuwait, Turchia, Malta e l’Italia, che soffre della debolezza della situazione politica in corso), attorno a Ghassan Salamé, capo della missione Onu per la Libia e ad altre tre organizzazioni internazionali (l’Unione europea, l’ Unione Africana e la Lega Araba).

L’ACCORDO dell’Eliseo, il secondo tentativo di Macron dopo quello del luglio 2017 rimasto senza veri risultati, resta molto fragile. I quattro politici libici si sono difatti limitati ad «approvare» la dichiarazione politica in 8 punti varata ieri, ma significativamente non l’hanno «firmata» ufficialmente. Del resto, in Libia l’incontro è già contestato: 13 milizie presenti in Tripolitania (ovest) si sono opposte al vertice di Parigi (proprio la Tripolitania dovrebbe essere sotto il controllo di Sarraj, ma la sua autorità è contestata e tra le milizie contrarie ci sono forze che finora sostenevano Sarraj). Solo due giorni fa le milizie di Misurata, protagoniste della guerra contro Gheddafi, hanno fatto forti pressioni sul governo diTripoli.

LE 13 MILIZIE sono le più rilevanti della Tripolitania, e in un documento accusano il vertice di voler un accordo tra Sarraj e Haftar (leader della Cirenaica che vuole che il suo esercito sia legittimato come l’unico della Libia) che «scavalchi» il loro ruolo, politico e militare. Il documento si rivolge al Consiglio presidenziale, guidato dallo stesso Sarraj che finora hanno appoggiato, all’Alto Consiglio di Stato, il «Senato» libico e alla Camera dei Rappresentanti, basata a Tobruk , rappresentata a Parigi dal presidente Aguila Saleh. A questi chiedono un «vero dialogo», la difesa della «sovranità nazionale» contro le «interferenze straniere», preoccupati anche di una accelerazione verso le elezioni incontrollate. Ma l’obiettivo vero delle 13 milizie è proprio Macron, accusato di puntare a «ristabilire un governo militare in Libia». Le milizie chiedono anche alla Missione Onu di «essere imparziale» e avere come priorità «la fine della guerra»; i firmatari – questi sì che hanno firmato – sono il Consiglio militare delle milizie di Misurata, quello di Zintan – dove risiede, ormai non più in carcere Saif Al Islam, il figlio dell’ex raìs, già pronto a candidarsi -, di Khoms, di Sabrata – fortemente legata al controllo e alla detenzione dei migranti -, di Zlitan e di altre città della Tripolitania. Sono decine di migliaia di uomini armati, una spina nel fianco sia di Sarraj che di Haftar.

PER TORNARE alla dichiarazione politica dell’Eliseo, auspica la stabilizzazione della Libia e sottolinea l’importanza di una base costituzionale per le elezioni, legislative e presidenziali: ma la Costituzione, adottata nel luglio 2017 da una assemblea costituente non riconosciuta da tutte le parti in causa, non è stata approvata definitivamente. Nella dichiarazione politica c’è l’impegno ad accettare i risultati delle elezioni e la promessa che si svolgeranno in un clima di sicurezza: chi farà ostruzione o ingerenze indebite «dovrà rendere i conti», ma non sono previste sanzioni. I capi politici libici si sono messi d’accordo per una progressiva unificazione dell’esercito del paese (a cui sta lavorando l’Egitto di al-Sisi), c’è l’impegno per una Banca centrale unica e un parlamento: l’obiettivo scritto è «mettere fine progressivamente all’esistenza di un governo e istituzioni parallele». Prima del voto, dovranno essere rifatte le liste elettorali, che oggi lasciano fuori praticamente la metà della popolazione. Una nuova conferenza, sotto gli auspici dell’Onu, è prevista prossimamente, come una «tappa» verso la normalizzazione. L’International Crisis Group aveva previsto una dichiarazione «aperta», senza impegni troppo precisi, visto che il lavoro da realizzare sul posto è ancora enorme.

LA DICHIARAZIONE politica non contiene nessun impegno sul rispetto dei diritti umani. Ai migranti ha solo accennato Sarraj, che ha chiesto alla comunità internazionale «uno sforzo colossale» di aiuti, soprattutto all’Unione europea, per far fronte alla crisi migratoria di «centinaia di migliaia» di persone (si parla di più di mezzo milione in transito in Libia).

HUMAN RIGHTS WATCH sottolinea che mentre i capi si riuniscono a Parigi, «i gruppi armati commettono abusi senza nessun timore di essere puniti». Hrw afferma che «il presidente Macron dovrebbe chiaramente indicare che i negoziati politici non serviranno in nessun caso come pretesto alla Francia per chiudere gli occhi sulla responsabilità dei dirigenti politici nella deplorevole situazione dei diritti umani in Libia». Oggi, al Parlamento europeo discuterà sui fondi libici congelati dall’Onu dopo la guerra civile e l’intervento della Nato del marzo 2011 che vide un ruolo decisivo della Francia (si tratta di quasi 67 miliardi di dollari, derivati dal petrolio). Intanto, in Francia ieri l’ex ministro Eric Woerth, che è stato direttore della campagna elettorale di Sarkozy nel 2007, ha ricevuto un avviso di garanzia per «complicità di finanziamento illegale», scandalo legato ai fondi libici di Gheddafi a favore dell’ex presidente, che due mesi fa è stato incriminato in questa inchiesta.

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