L’invito del manifesto alla partecipazione al corteo del 25 aprile a Milano «contro le guerre che già si combattono e quelle che sempre più sinistramente si annunciano» e per «costruire la pace con tenacia contro ogni cupo presagio bellico», è stato raccolto dalle associazioni pacifiste di natura cattolica e laica. Tra i primi, in ordine di tempo, a mandare l’adesione, Pax Christi, il movimento cattolico internazionale per la pace, guidato in Italia negli anni 80 da don Tonino Bello.

«Aderiamo perché vorremmo ripetere a Milano insieme a tanti cittadini attivi e responsabili l’appello di Paolo VI all’Onu: “Mai più la guerra”», hanno scritto i religiosi che sottolineano come la Liberazione del ‘45 sarebbe dovuta essere per il nostro paese «l’ultima guerra, la disfatta di ogni nazionalismo guerrafondaio e razzista, la conclusione di un tempo che vide reprimere la libertà ed aumentare l’ingiustizia sociale”. Per questo Pax Christi intende “resistere con voi nel dire a quanti ancora lo credano che la guerra non è mai la soluzione alle controversie internazionali».

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Anche l’associazione cattolica pacifista e antirazzista Sulla Strada aderisce all’appello del nostro giornale. «È una liberazione continua quella che cerchiamo di operare giorno per giorno, ciascuno nel proprio campo perché le resistenze e le opposizioni sono innumerevoli, è un atto di fede vero e proprio – ha scritto il presidente Carlo Sansonetti – solo insieme, solo uniti, pur con tanti punti di vista diversi, siamo una grande forza». «Oggi, che sono tornati a farsi sentire sempre più forti i rumori di guerra, c’è assoluto bisogno di rendere manifesta la politica costruttiva di pace», dicono anche dal Movimento Non Violento.

Il presidente Mao Valpiana, menzionando il fondatore Aldo Capitini, ha ricordato «dieci anni fa, all’Arena di pace e disarmo, a Verona, proprio il 25 aprile avevamo issato un enorme striscione che diceva “La Liberazione oggi si chiama disarmo, La Resistenza oggi si chiama nonviolenza”». «Oggi come ieri – ha sottolineato Valpiana – il fascismo cammina su due gambe: violenza e militarismo, dunque l’antidoto è costituito da nonviolenza e antimilitarismo».

Non poteva mancare l’adesione di Un Ponte Per (Upp), l’organizzazione non-governativa nata proprio a seguito di un conflitto, all’epoca spacciato per “giusto” e passato alla storia come Guerra del Golfo». «Il 25 aprile per noi di “Un Ponte Per” non è mai stata una ricorrenza, ma il giorno in cui si rinnova l’idea stessa di una società non più basata sulla guerra, sui nazionalismi, le leggi razziali e l’ideologia e la pratica del colonialismo – hanno scritto i co- presidenti Alfio Nicotra e Angelica Romano – La parola scelta dai costituenti il “ripudio” della guerra è forse il contributo più alto dato dalla lotta partigiana all’edificazione della nuova Italia ed al contempo un programma politico a cui si devono attenere tutti i governi del nostro Paese».

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Per Un Ponte Per è necessario sottolineare il verbo scelto dai costituenti: «Ripudia non è un semplice rifiuto, perché si ripudia un marito o una moglie, un figlio o una figlia, insomma un qualcosa a cui si è uniti da un legame di sangue o rompendo quello che era considerato l’ordine naturale delle cose».

Nicotra e Romano invitano a «contrapporre l’idea di una Europa solidale, dei diritti civili e sociali, una Europa insomma dei costruttori di pace» alla attuale «deriva militarista della classe politica e giornalistica italiana ed europea che parla di armi come vaccini, di bond europei per finanziare il sistema bellico industriale, di mettere la spesa militare (e non quella per sanità ed istruzione) fuori dal patto di stabilità, di eserciti europei e atlantici come gendarmi del mondo». Sono queste per l’ong le motivazioni che hanno portato ad aderire «subito e con convinzione» alla proposta lanciata dal manifesto «di manifestare tutti e tutte insieme».

Il 25 aprile prossimo a Milano, scrivono i co presidenti di Upp «ci saremo portando il nostro impegno pluridecennale al fianco dei popoli a cui, anche le nostre politiche militariste e coloniali, hanno inferto dolore e distruzione, per dire che non vogliamo diventare l’Hiroshima di domani e portando con noi il grido che viene da Gaza: per fermare il genocidio e riprendere la strada della convivenza tra i popoli».