Il 7 febbraio di quest’anno il ventinovenne turco Gun Ufuk è stato condannato dal tribunale di Crotone per la strage di Cutro dove persero la vita 98 persone, di cui 35 bambini. Ufuk viene condannato, in quanto scafista della Summer Love, a venti anni di reclusione. E a una multa di 3 milioni di euro (ridicola) che avrebbe bisogno di dieci vite per pagarla.

È stato il primo capro espiatorio di quest’ultima strage di migranti, perfettamente coerente con l’indirizzo politico di questo governo e di altri che l’hanno preceduto che hanno sempre dato la colpa agli scafisti. Mostri, esseri disumani, cinici, che portano i disperati della terra a morire in mare.

Indagini sul campo condotte tempo addietro in Turchia e Albania – ora diventata campo di concentramento ufficiale di migranti con accordi governativi Roma-Tirana con tanto di approvazione da parte dell’Unione europea – hanno dimostrato che gli scafisti sono solo dei dipendenti di organizzazioni criminali (non di rado con legami documentati con appartati governativi) che riempiono, oltre ogni limite, barconi fatiscenti di esseri umani che scappano da persecuzioni, guerre, fame e disperazione perché non hanno alternativa che mettere a rischio la propria vita. E adesso è arrivata la condanna di quattro ufficiali e sottufficiali della Guardia di Finanza e due della Guardia Costiera che vengono accusati di «omicidio colposo plurimo e naufragio colposo» in quanto hanno contravvenuto all’ineludibile obbligo di salvaguardia della vita in mare, violando il regolamento Ue 656/2014 , l’accordo operativo del 2005 e le indicazioni del tavolo tecnico del giugno del 2022. In sostanza, questi militari avrebbero dovuto soccorrere il barcone che stava affondando come gli era stato segnalato da Eagle 1, l’areo di ricognizione di Frontex, cinque ore prima del naufragio.

Impressionante la testimonianza di Ivan Paone, pescatore, resa di fronte al Pubblico ministero il 14 febbraio scorso: «Ho riferito che c’era una barca in difficoltà a causa del mare mosso, dalla quale provenivano grida. La Guardia Costiera mi ha risposto che ne erano al corrente. Però sulla spiaggia al momento del naufragio c’eravamo solo noi».

A questo punto della storia la domanda ineludibile è: cosa ha indotto Guardia costiera e Guardia di Finanza, che si rimpallano le responsabilità, a restare inerti, a ignorare queste segnalazioni? Perché in questo modo, con questa inerzia sono andati contro la loro stessa storia che li ha visti sempre rispondere alla legge del mare che impone di salvare chiunque sia in pericolo di vita, fosse anche il tuo nemico in guerra (come ricordiamo da un noto episodio accaduto nella seconda guerra mondiale). Solo un input dalle stanze del potere centrale che prevedeva e prevede in questi casi una tavola operativa tecnico-politica ministeriale, poteva indurre questi ufficiali a venir meno al loro dovere. Solo un clima di odio verso i migranti e di omertà che ha creato questo governo che si vanta dei respingimenti e della esternalizzazione dei confini e dei soccorsi, poteva produrre questi effetti nefasti.

In sostanza, siamo ancora una volta di fronte ad una strage dove vengono condannati gli esecutori ma non i mandanti, che vengono completamente ignorati. Il salvagente invece di essere stato lanciato ai naufraghi ancora una volta viene gettato al governo.
E non dimentichiamoci che siamo l’unico paese europeo con una decennale storia di stragi di Stato, che hanno fatto parte della “strategia della tensione” per preparare un terreno favorevole al un governo autoritario, mentre oggi queste stragi di migranti che continuano (l’ultima a largo di Roccella Jonica il 17 giugno) fanno parte della “strategia della deterrenza” per cui bisogna scoraggiare le partenze dei migranti non autorizzate. E se non funzionano i miliardi che vengono dati ai governi e alle loro milizie della sponda sud-est del Mediterraneo, come in Libia e in Tunisia, per trattenerli in carceri e campi di concentramento e torturarli – lì dove avvengono altre stragi che vanno nascoste come quelle delle migrazioni nel deserto, nonostante siano denunciate dalle Ong umanitarie e dalle Nazioni unite – allora che muoiano nel Mediterraneo, che serva da lezione ad altri per non partire.